Storia - E' proprio Alberto III Pio il nobiluomo ritratto nel quadro di Bartolomeo Veneteo

Lo sguardo del Principe di Carpi

di Fabrizio Stermieri   

CARPI – C'è un mistero dietro quello sguardo, scoccato di tre quarti, intenso e penetrante, fissato sulla tela.

Chissà quale storia, quali segreti, quante vicissitudini si nascondono in quel quadro, fra le pieghe del tempo trascorso, cinque secoli ormai, che separano l'oggi dal momento in cui un artista congelò in un dipinto l'immagine di quel gentiluomo in cui alcuni ravvisano le sembianze di Alberto III Pio, principe di Carpi. Il più noto ritratto di Alberto è certamente quello della National Gallery, esposto eccezionalmente a Carpi nel 2008 in occasione della grande mostra “L'immagine del Principe”. Accanto a questa icona, in qualche modo da considerarsi “ufficiale”, le immagini che ritraggono l'ultimo principe di Carpi si contano sulle dita di una mano: quello, improbabile, di una medaglia postuma, quello idealizzato del suo monumento funebre, quello più noto ma giovanile degli affreschi della cappella palatina di palazzo Pio, infine quello, ipotizzato e di recente attribuzione, di un personaggio affrescato da Raffaello nelle stanze vaticane. Nel 1975, in occasione del quinto centenario della nascita del principe Alberto, venne pubblicata anche la fotografia di un altro presunto ritratto del Pio, per altro già noto da tempo. Si trattava di un busto attribuito al pittore Bartolomeo Veneto (attivo a Torino, città sabauda allora orbitante nell'area di influenza francese, fra il 1502 e il 1531) facente parte della non meglio nota “raccolta milanese Fossati” e, all'epoca “in collocazione ignota”. Quel quadro, di cui si possedeva soltanto una fotografia in bianco e nero, fu probabilmente venduto all'estero. Dopo un lungo periodo di tempo la tela è riemersa sul mercato collezionistico e venne venduta per una considerevole cifra (si dice più di 100 mila dollari) ad un collezionista americano che poi affidò l'opera al notissimo restauratore di quadri antichi Marco Grassi, con studio a New York. Grassi, figlio di un antiquario fiorentino e di madre americana, è un professionista di altissimo livello. Per le sue mani sono passate opere del Guercino, di Guido Reni, Simone Martini e Gallo Fiorentino (solo per citarne alcune). Dopo essersi formato professionalmente a Firenze, Roma e Zurigo e dopo aver operato a lungo a Firenze con il suo laboratorio di restauro avviato nel 1961, si è definitivamente trasferito a New York.

“Come si fa un restauro? – gli ha chiesto alcuni anni or sono Alain Elkan, intervistando Grassi per La Stampa di Torino – E' il quadro che ti dice cosa fare. A volte il meglio è non fare nulla».

Trovatosi per le mani il nostro Bartolomeo Veneto, l'esperto restauratore si è subito reso conto che la parte originale del quadro risultava ampiamente ricoperta da pesanti interventi successivi. Riportato il ritratto alla versione primitiva non si sono più ricoperte le ampie lacune e i danni provocati dal tempo cosicché la tela, proposta di nuovo in asta al Rockefeller Center da Cristie's New York nel giugno del 2010, è stato aggiudicato ad un ancora ignoto nuovo possessore per 12.500 dollari contro una valutazione di partenza sui  6-8 mila dollari. Il restauro ha tuttavia reso più leggibile il ritratto: i folti capelli e baffi neri che caratterizzavano la versione rimaneggiata della raccolta Fossati sono diventati castani, la tunica ha ritrovato un colore morbido, dietro le spalle del soggetto, sulla destra, si intravvedono figure e non solo montagne. Insomma, un confronto ravvicinato con il ritratto di Bernardino Loschi della National Gallery propone evidenti somiglianze, negli occhi, nello sguardo, nell'attaccatura del naso e nelle pieghe delle labbra. 

Il “gentiluomo” di Bartolomeo Veneto (uno dei tanti anonimi gentiluomini che l'artista ha dipinto  nel corso della sua carriera) è veramente Alberto Pio? Potrebbe essere che si.

Ma, e qui salta fuori il secondo mistero: questo quadro approdato sull'altra sponda dell'Atlantico, è il ritratto che qualcuno dice fosse nascosto nel baldacchino preziosamente ricamato che un lo stesso Alberto Pio aveva donato alla chiesa della Sagra e che successivamente fu trasportato a coprire l'altare maggiore della nuova Collegiata della Cattedrale di Santa Maria Assunta? C'è chi afferma di si ma è permesso dubitarne. Infatti, secondo le cronache, quest'ultimo ritratto sarebbe stato dipinto su “una lata”, forse una lastra di rame, e qualcuno riporta anche il formato: rotondo. Ora, il ritratto licitato da Cristie's nel 2010 e di cui si ha l'immagine coincidente con quella del quadro di Bartolomeo Veneto, viene descritto di formato di circa 50 centimetri di altezza per circa 30 di larghezza e come “marouflaged panel”, che significa “pannello o tavola di legno con tela incollata sopra”. Niente latta, o rame che dir si voglia, e formato decisamente rettangolare, simile a quello degli altri gentiluomini dipinti in serie da Bartolomeo. Due immagini diverse, dunque? Quella rotonda rinvenuta nel baldacchino, “copri cielo” in temini tecnico-liturgici, e quello su tela riportata su tavola di formato rettangolare. Le cronache confortano la tesi dei due ritratti: nell'inventario dei quadri posseduti dall'erudito carpigiano Eustachio Cabassi morto nel 1796 (ce lo ha ricordato su VOCE del 16 marzo scorso Anna Maria Ori), i ritratti di Alberto Pio elencati fra i beni del defunto studioso e raccoglitore risultano essere due. Uno, forse, è quello finito nella raccolta Fossati di Milano e un secondo, anche qui il dubitativo è d'obbligo, era quello ritrovato (ed ora per noi di nuovo scomparso) nelle pieghe del famoso baldacchino. Una cosa è certa, lo sguardo indagatore del gentiluomo-Alberto che esce dal quadro di Bartolomeo Veneto getta una luce nuova e affascinante sulla storia e sulla vita dell'ultimo Principe di Carpi.

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