Il biologo novese Luigi Sala parla della mano pesante dell’uomo sulla natura

Lo sterminio della biodiversità

“Inimmaginabile oggi nelle nostre campagne procurarsi pesce e rane di cui cibarsi, come avveniva qualche decina di anni fa”. Gli ecosistemi acquatici i più a rischio. Cornacchie e gazze “clandestini a bordo” nei centri storici.

NOVI – Qualcuno ha mai visto gli aironi neri che in una canzone dei Nomadi del 1991 attraversavano il cielo? Forse nessuno e forse nemmeno Augusto Daolio, l’allora frontman del famoso complesso musicale, perché quegli uccelli vivono esclusivamente in Africa, quindi molto lontano da qui e da Novellara. Il riferimento naturalistico del pezzo è una metafora dell’estate che se ne va, però è allo stesso tempo la testimonianza di una certa familiarità con gli aironi che invece, nella versione cenerina, dimorano nelle nostre zone. Impossibile non notarli: essendo caratterizzati da notevoli dimensioni e ampia apertura alare, quando si librano in cielo sono spettacolari. Ciononostante a pochi sarà capitato di scorgerli. Perché la verità è che per la maggior parte di noi la campagna è solo un luogo da attraversare, non da visitare né tantomeno da studiare. Meglio guardarsi un documentario in televisione. Chi invece continua a frequentare le periferie rurali con attenzione è il biologo novese Luigi Sala, un po’ per sua passione personale di sempre ma anche per il suo ruolo di ricercatore presso il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

Il suo settore di competenza è la biodiversità: di cosa parliamo esattamente e perché è importante studiarla?

«Per biodiversità s’intende la diversità di forme di vita (che siano specie animali, vegetali o microbiche o loro comunità) presenti allo stato selvatico in determinato territorio ma anche quella, molto meno ricca varietà di razze vegetali e animali selezionate per l’agricoltura e l’allevamento (agrobiodiversità). La ricchezza di vita selvatica ci permette di capire lo stato di salute dell’ecosistema in cui viviamo. Io mi occupo di animali selvatici che, insieme ad altri organismi, stanno subendo un progressivo depauperamento: molte specie, sulle quali noi biologi stiliamo le cosiddette “liste rosse”, vanno estinguendosi mentre le comunità tendono a semplificarsi, a uniformarsi su vaste aree del pianeta. Il fattore determinante in tutto ciò è la pressione umana, tanto che la nostra era viene definita “antropocene” (cioè dominata dall’uomo). Mentre in passato i cambiamenti estremi erano dovuti ad eventi naturali quali, per esempio, la caduta di un grande meteorite o grandi eruzioni vulcaniche, oggi il principale agente di estinzione di forme di vita è la specie umana. E la nostra è una mano che agisce in modo troppo pesante e, soprattutto, troppo veloce» 

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