Trenta chilometri di un itinerario ciclopedonale che non c'è ma potrebbe esserci

Via degli Argini: c'è la prova

Appuntamento all’alba…Sì, perché si parte sempre all’alba, per le grandi avventure. Vabbé: intanto proprio alba non è, perché sono già le 8,30 del mattino del 18 agosto. E poi ci troviamo mica al Gran Canyon o sulle pendici del Kilimanjaro, ma in via Mulini, davanti al laboratorio dell’artista artigiano dei materiali Antonio Mauriello. L’avventura, insomma, non è di quelle che attizzano la fantasia. Ma occorre provare per crederci, a percorrere tutto l’anello ciclopedonale che ciclopedonale ancora non è, tracciato dall’architetto comunale Paola Fregni e volonterosamente pedalato su piste che non ci sono, con una segnaletica che non c’è e con l’appoggio di inesistenti punti ristoro… La voglia, tuttavia, di trasformare la prosa dell’inesistente nella poesia di un immaginario e immaginifico itinerario futuro a disposizione della città è tanta. Così si parte, non prima però di aver buttato lì il nome, la definizione che, a partire da domani, possa mettere insieme terra e acque, paesaggio e ambiente, bonifica e agricoltura, salute e sport e tutto quello che volete aggiungere all’idea di un circuito di trenta chilometri spremuto dagli argini dei canali e dai campi che attorniano Carpi. Ecco qua, dunque: chiameremo “Via degli Argini” l’anello ciclopedonale tra Lama e Tresinaro, sperando che entri nelle teste e nelle aspettative con lo stesso impatto, almeno, di quell’altra grande invenzione paesaggistica e ambientale che è stata Parco Lama.

L’avvio è facile, per quanto il pédaler dans l’herbe non abbia lo stesso fascino sensoriale del déjeuner sur l’herbe di Manet. Qui l’erba dell’argine del Canale di Santa Croce rallenta non poco il fluire della pedalata che si trasmette direttamente agli adduttori e ai bicipiti femorali. L’effetto è distraente, rispetto al paesaggio che, caso unico per tutto il circuito, non è asservito alle opere agricole, ma addolcito da un parco, quello della Fondazione, ottenuto con preziose e ordinate essenze arboree. Lo chiameremo provvisoriamente e rispettosamente “parco Gian Fedele”, dal nome di colui che ardentemente lo volle e lo fece piantumare, lasciandolo poi lì, un po’ bosco, un po’ parco extraurbano, sospeso nel limbo di un utilizzo che nessuno ancora conosce. Si varca la via Bersana e si segue l’argine destro dello stesso canale anche oltre la via Chiesa Santa Croce, apprezzando l’ombra frondosa di un pioppeto che qualcuno deve aver già provato a sfruttare, data l’abbondanza di cartelli “proprietà privata” che lo attorniano. Ora il canale fiancheggia il campo da calcio della frazione e le costruzioni di via Giliberti, fino al circolo Arcobaleno. Ma poi, sottopassata la via Fornaci, fa quello che noi non possiamo fare: si intrufola sotto l’autostrada in uno dei suoi punti più larghi, coincidenti con la bretella che si stacca dall’arteria per portare al casello. Bisognerebbe poter volare, qui: si possono solo auspicare passerelle o sottopassi da ottanta metri e passa. Nell’attesa, occorre adattarsi a percorrere insieme al traffico automobilistico il cavalcavia della Provinciale per Correggio: opera, questa sì, ardimentosa. Per fortuna la si abbandona subito al di là, infilando a gomito sulla sinistra la carreggiata che ci permette di riprendere l’argine del Canale Santa Croce.

 

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