La rete arriva dove non serve più e manca dove invece servirebbe

Acquedotto industriale per chi?

Doveva servire dieci tintorie, ne sono rimaste due. Ampiamente sottoutilizzata, la sua acqua, che costa la metà di quella dell'acquedotto civile, sarebbe molo utile al macello Italcarni. Ma chi paga il prolungamento?

C’è un problema di acqua, per una struttura industriale idroesigente come il macello Italcarni nella gestione Opas, ora tributaria, come consumi e costi, di quella potabile erogata dall’acquedotto. Solo che l’impianto e la rete che potrebbero felicemente risolverlo non arrivano fino alla sede dello stabilimento, in via Guastalla. Il che ripropone la questione di una parallela rete acquedottistica che è venuta a trovarsi dove non dovrebbe più essere, mentre non è dove oggi sarebbe più che mai necessaria.

 

Stiamo parlando ovviamente della rete dell’acquedotto industriale, inaugurato nel 1999 dopo un investimento di 4 miliardi di lire dell’epoca e perfezionato nel 2002, aggiungendo nuove fasi di depurazione alla originaria, semplice decolorazione delle acque reflue intercettate dal Canale di Carpi (il Gabelo). L’acqua che, uscendo dai trattamenti del depuratore, circola nei dieci chilometri della rete, «…ha caratteristiche migliori di quella di ogni altro impianto di depurazione – assicura Davide De Battisti, ingegnere, dirigente del Servizio idrico integrato di Aimag –. Viene infatti sottoposta a due cicli di filtrazione, prima a sabbia per eliminare le impurità e poi con una ultrafiltrazione accoppiata con l’ozonizzazione e successiva clorazione che la rendono adatta a un uso industriale. Non è potabile, ma è pur sempre ottima».

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