Finita l'era della facilità anche per la chiusura di alcuni mercati

Lambrusco serve una svolta

La crisi del prezzo sprona cantine e privati a puntare sulla qualità

di Elisa Paltrinieri

A detta di tutti, associazioni di categoria e cantine, questa vendemmia che è ancora nelle fasi iniziali si prospetta da buona a ottima. Anzi, se il tempo tiene, potrebbe candidarsi a essere da record. Il vento eccezionale di una settimana fa ha danneggiato solo alcuni vigneti (e comunque non si tratta di pioggia eccessiva o grandine che sarebbe stato peggio), ma non ha intaccato il complesso della produzione che nella stagione ormai passata ha beneficiato di un andamento climatico favorevole.

È’ Maurizio Boni, enologo della Cantina di Santa Croce, a sostenere che «…l’uva è caratterizzata da un rapporto ideale fra zuccheri e acidità; si stima che il vino raggiungerà gli 11 gradi naturali e  – aggiunge –, volendo fare un bilancio più generale, bisogna riconoscere che negli ultimi vent’anni il lambrusco ha fatto un salto qualitativo». Dello stesso avviso è Enrico Prandi, enologo delle Cantine Riunite & Civ di Carpi che conferma: «L’uva è sana e bella, presenta uno stato sanitario buono, potremmo arrivare a raccogliere il 10 per cento in più rispetto alla vendemmia del 2015; insomma tutto sembra essere giusto per produrre un gran vino». Ciò nonostante, i due enologi concordano nel riconoscere l’esistenza di una contrazione delle vendite. Ebbene sì, perché, sebbene si parli di ottima qualità e buona quantità, è da qualche mese a questa parte che aleggia nell’aria la notizia di una crisi del lambrusco. 

«Il problema principale – spiega Cristiano Fini, presidente della CIA di Modena – è che mercati importanti come Russia e Brasile a causa della crisi del rublo (più ancora che dell’embargo) e del real hanno fatto crollare le importazioni. A fronte di questo calo dei consumi è corrisposto invece un aumento della produzione italiana. Tutto ciò ha portato a un abbattimento dei prezzi».

Per questo motivo recentemente sei cantine del modenese e del reggiano hanno firmato un accordo. Per la zona hanno aderito la cantina di Santa Croce, le Riunite & Civ di Campegine (del cui gruppo Carpi fa parte) e la Cantina Sociale di Carpi e Sorbara il cui direttore, Erennio Reggiani, dichiara che «…a causare una simile situazione non hanno contribuito soltanto il crollo delle esportazioni e la sovrapproduzione delle ultime annate, ma anche la crisi economica generale e l’aumento della superficie vitata. Pertanto siamo stati convinti promotori di un documento che ha l’intento di riequilibrare la domanda e l’offerta, con la speranza che nel tempo aderiscano altre cantine del territorio».

E infatti il documento di intesa non era per niente scontato, tanto da nascere fuori dai tavoli istituzionali, dato che non è facile riconoscersi in obiettivi comuni quando si è contraddistinti da una propria specifica fisionomia e da propri obiettivi: per esempio la Cantina di Santa Croce punta sull’imbottigliato, le Riunite sui marchi (come Maschio e Righi), la Sociale sull’ammodernamento, eppure l’unica strategia vincente per valorizzare il prodotto, per contrastare il crollo dei prezzi e per competere in un mercato globale sembra essere quella di unire le forze.

 

 

 

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