PERSONE - Li compirà il 29 maggio Gianfranco Imbeni, narratore tra cultura e costume

Ottant’anni fra le righe di Carpi

Una chiacchierata a tutto tondo, nella stanza che lo ospita in una struttura. Tra ricordi in bianco e nero e a colori. Parlando di Dio e comunismo, di politica e teatro, di donne e vita da bohèmien, di democristiani e boy scout, di sindaco e magliai gaude

CARPI – Gli ottant’anni che lo attendono per il prossimo 29 maggio sembrano scivolare sul suo umorismo, presi con la disinvolta leggerezza di chi ha imparato ad accettare le cose e il loro fluire, al di là delle velleità degli uomini di mutarne il corso. Sono la stessa leggerezza e la stessa ironia, appoggiate a uno sconfinato bagaglio di letture, che in tanti hanno conosciute in Gianfranco Imbeni e che li spinge tuttora a fargli visita nella stanza della struttura che lo ospita da tempo. Impiegato alla Frarica, poi al Molly del cavalier Guido Molinari e infine in Municipio, dove ha ricoperto vari ruoli, ultima la direzione del Teatro, ma soprattutto autore di due libri (“Maldicenze”, 1982 e “Non c’è più vino” 1991) e di una mole di articoli per varie testate – Tribuna, il Giornale, Luce, Voce – Imbeni ha conosciuto, esplorato e raccontato come pochi la piccola comédie humaine di questa città. Contribuendo a darle, soprattutto per i connotati ereditati dal suo Novecento, un senso che oggidì fatichiamo a intravedere. La mattina del 19 maggio lo abbiamo intervistato.
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 «Credevo che fossero peggio, gli ottant’anni. Mi aspettavo di essere già morto da tempo. Ecco, se dovessi scrivere io, dei miei ottant’anni, direi della mia meraviglia per il fatto che, pur avvicinandomi alla morte, non la sento. E lo stesso mi succede con l’idea di Dio: due pensieri che, pure, da giovane mi incuriosivano. Questo per me resta un enigma». 
Già, l’idea di Dio, Gianfranco: non ho mai capito se tu sia mai stato un credente, come hanno ritenuto quelli che per anni ti consideravano l’unico, vero cattolico di Carpi, oppure no... 
«Dio? Adesso non ne parla più nessuno, è passato di moda» In che senso, scusa? «Ma perché è un’idea di un’assurdità incredibile. Adesso che ci sono problemi veri, come la mancanza di lavoro, le paure del futuro, allora Dio sparisce. Non è che uno entra in chiesa e non ci pensa più: ecco perché le chiese sono vuote. Anche se bisogna rispettarla, l’idea di Dio: perché c’è chi ci crede ed esistono addirittura dei Papi» 
A rivederli, i tuoi ottant’anni, vengono in mente immagini in bianco e nero, cose che hai raccontate più volte quando hai scritto della guerra: come i cadaveri gonfi dei fucilati che hai visti sul selciato della piazza, il 16 agosto del 1944... 
«Ero piccolo, avevo sei anni: anche se ero nato in via Berengario (nel palazzo poi abbattuto per far posto alla Banca Agricola Mantovana, ndr) io in piazza ci vivevo, perché passavo giornate intere da mia nonna che abitava sopra il bar Roma» 
Altro flash in bianco e nero: anni Cinquanta, questa volta, tu che corri in bicicletta, stai per tagliare il traguardo, ma metti un rapporto durissimo che ti inchioda e il gruppo ti oltrepassa... 
«Sono arrivato ottavo... La bici da corsa me l’aveva regalata mio nonno per i miei dieci anni. “Chissà dove l’ha rubata”, era stato il commento di mia madre» 
Ti è mai venuto in mente di organizzarli in un romanzo, i tuoi ricordi? 
«Mah... vedo tutti questi ragazzi che si sono messi a scrivere: non ho capito il perché. Non ho mai avuto voglia di scrivere romanzi, anzi, a dirla tutta di romanzi ne ho letti anche pochi. “I promessi sposi” sì: ma non è un romanzo, piuttosto una meditazione» 
Hai scritto però Maldicenze che ti ha creato qualche problema in una città poco avvezza a sorridere di se stessa: lo torneresti a scrivere?
«Qualche cosa lo riscriverei. Ma di quella storia lì ho trovato divertenti soprattutto le reazioni» 
Come quella del cazzotto che ti è arrivato da uno che si è sentito diffamato? 
«Ma non si è trattato di un cazzotto: mi ha solo aspettato all’ingresso di casa e mi è saltato addosso. Vabbé, il Pronto soccorso, ma si sa che al Pronto soccorso la prima cosa che fanno è di metterti a letto. Maldicenze è stato un periodo bello della mia vita, perché i periodi belli sono quando non si lavora e si vive alla giornata. Ecco, Carpi ha poi questo di bello: che se uno non lavora e scribacchia, la gente si incuriosisce e va a sbirciare»

 

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