Un commento di Florio Magnanini

Se Matteo Renzi comincia a essere un problema per il Pd

Se è vero che il test elettorale del 25 giugno è pur sempre di portata limitata, collocandosi per di più nel contesto di una democrazia desertificata dall’astensione, è altrettanto vero che un dato è emerso con evidenza: Matteo Renzi sta diventando un ostacolo per il Pd, un gigantesco macigno sulla strada di quella ricerca di identità che potrebbe arrestare il progressivo sfaldamento del partito.

Lo testimonia la sua lettura riduttiva dell’esito elettorale (“Contando il primo turno il centrosinistra batte il centrodestra per 67 città a 59”). Lo conferma il suo considerare il voto di domenica un incidente di percorso destinato a essere cancellato delle future elezioni politiche del cui responso favorevole, chissà perché, è assolutamente sicuro. E lo richiama anche la evidente voglia di palazzo Chigi, tutta costruita intorno al proprio smisurato Ego e alla quale sta riducendo tutta la politica del suo partito. Per non parlare dell’acrimonia, che sembra essere diventata il primo dei suoi caposaldi politici, verso gli ex, i fuorusciti, lo stesso padre nobile del partito, Romano Prodi. E non tiene conto che, in fondo, agli Italiani cominciano a non dispiacere i politici alla Gentiloni, che lavorano in silenzio (facendo ovviamente quel che possono, negli attuali equilibri parlamentari), senza i fuochi d’artificio miracolistici sui quali lui, l’ex Sindaco di Firenze, ha costruito la propria immagine, nella convinzione che in questo Paese occorra prima di tutto colpire l’immaginazione.

Perfino Silvio Berlusconi, considerato il maestro in questo approccio “mitologico” alla politica, si sta configurando in questi giorni, con la sua presa di distanza dalla Lega di Salvini, come più moderato e realista del leader democratico.

 

 

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