Un’esistenza di pneumatici e di passione

I quarant’anni di Cesarino Gomme: la professione del gommista e l’amore per il calcio che ne hanno fatto un simbolo cittadino

Ci sono due linee parallele, ma che hanno finito virtuosamente per incontrarsi, nella storia personale del settantenne Cesarino Capelli, fino a confondersi rendendo impossibile parlare dell’una senza riferirsi all’altra. Da una parte c’è la professione di gommista che arriva proprio in questi giorni al traguardo dei quarant’anni. E dall’altra una passione profonda per il calcio, vissuto prima da atleta, poi da allenatore e infine da tifoso raziocinante che ne ha fatto il personaggio che è, conosciuto e stimato in tutta la città che quello sport lo ama o semplicemente lo segue.

 

L’essenza di quell’incrocio Cesarino Capelli la riassume così «Con i problemi che tutti conosciamo il mondo del calcio mi ha dato tutto». Nel senso che quando, trentenne, dopo aver lavorato come operaio alla Goldoni, decise di cominciare l’attività fondando in società con un amico il Centro Gomme in via Nobel, ribattezzato Cesarino Gomme nel 1996, l’ambiente calcistico, al quale è sempre appartenuta la sua seconda vita, è stato quello che gli ha portato i primi clienti. E quando si dice ambiente calcistico, si intendono non solo gli uomini in prima linea, atleti, dirigenti, tecnici delle diverse società, ma anche il vasto indotto di sostenitori, ai vari livelli di febbre calcistica che in lui hanno trovato di volta in volta un amico, un confidente, uno che ascolta e capisce, senza giudicare.

 

Lui, che tratta con competente disinvoltura la professione del gommista, aggiornandola sempre ai prodotti e con molta attenzione al servizio coadiuvato dal figlio Stefano e da Patrizio Conte, a quell’altra vita parallela fatta di pallone, allenamenti, agonismo è sbocciato come giovanissima ala sinistra arruolata dalla Fossolese, la squadra della frazione in cui è nato e alla quale è ancora molto legato: «Fossoli – racconta – negli anni fra i Cinquanta e i Sessanta, era un formidabile incubatoio di atleti, a partire da Amleto Frignani che, giocando nel Milan, è stato il primo calciatore italiano a segnare in Coppa Campioni, proprio nel 1956, il primo anno del torneo». La sua, invece, di carriera è proseguita negli Allievi del Carpi allenati da Guerino “Ciccio” Siligardi negli anni Sessanta, prima di segnalarsi come goleador nella Folgore, dove ha giocato tre anni, e di partire per il servizio militare: «Dopo ho giocato a Suzzara, Reggiolo, Rolo, Rio Saliceto», aggiunge, “a scalare”, come dice lui con un tocco di autoironia, per correggersi subito dopo: «Ma mi volevano in serie A il Messina e l’Empoli. Perché non sono andato? Sono sincero: per amore – sottolinea –, a mia moglie non piaceva l’idea e io ho rinunciato. Rimpianti? Nessuno: per me la famiglia viene prima di tutto». Una bella famiglia, va detto: oltre a Stefano e al gemello Andrea, la primogenita Sabrina e Lorenzo.

 

«Il passaggio da calciatore ad allenatore – riprende – me lo ha permesso un amico, Euro Bellotti, per tutti Toni, conosciuto al Bar Firenze. “Abbiamo la squadra del bar”, mi disse, “vuoi allenarla tu?”. L’ho fatto per due anni, poi è toccato alla formazione di Radio Bruno che schierava alcuni disc jockey, gente che veniva a giocare alle 8 del mattino dopo essere andati a letto alle sei. Ne prendevamo da tutti».

 

Sarà in seguito il mister degli amatori della Dorando Pietri, poi dello Sporting e del Club 33: «Ho messo insieme le mie due passioni – sottolinea – il lavoro e il calcio», in quest’ultimo avendo soprattutto due riferimenti: la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre (“Un’eccezione? Macché: solo a Fossoli ai miei tempi eravamo in venti a tifare viola…”) e l’ex calciatore Salvatore Bagni: «Per me lui ha rappresentato una svolta importante. Grazie a lui, che organizzava le partite del cuore per beneficenza a Correggio, ho potuto conoscere figure come Massimo Moratti e Arrigo Sacchi, Schumacher, Maradona e Roberto Baggio, per citarne solo alcuni». E ben prima dell’epoca dei selfie, le foto che lo immortalano con campioni famosi e meno famosi, sui campi da calcio o sui circuiti della Formula Uno (che segue anche per interesse professionale) corredano l’ufficio museo della sua officina di via Democrito.

 

In questo suo percorso di vita in cui lavoro e calcio sono tutt’uno e con un forte radicamento nella famiglia e nella “sua” Fossoli, Cesarino Capelli ha un sussulto insieme di orgoglio e malumore solo quando gli si parli del Carpi Calcio: «Sono stracontento di questa società – dice –: stanno facendo miracoli. Non sono contento, invece, della risposta della città. Siamo in serie B, sono sei anni che si stanno facendo cose belle che nessuno avrebbe mai immaginato, passando altrettante promozioni, siamo andati a giocare nei grandi stadi della serie A da cui siamo retrocessi per un punto: e ti ritrovi sempre con quegli ottocento paganti allo stadio? Vai a Frosinone a giocarti i play-off e ti seguono in una sessantina? No, questo non me lo spiego come non accetto l’eccesso di critiche, il voler sempre andare a cercare l’ago nel pagliaio dei difetti dell’allenatore e di questo o quel calciatore. Mi verrebbe da ricordare a tutti dove si finirebbe se questo Presidente decidesse di abbassare la saracinesca. E davvero non mi spiego come i vari ambienti della città, l’associazionismo, l’Amministrazione comunale siano così distanti e freddi, quasi indifferenti. Dovremmo tenerci stretto quello che abbiamo conquistato. In questa città non possiamo volerci bene solo quando c’è un terremoto», conclude Cesarino Capelli di Cesarino Gomme, quarant’anni di professione e una vita intera per il calcio.

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