Governo e pensioni anticipate ape operaia

Il Governo in questi giorni ha illustrato ai sindacati le linee guida che consentirebbero ai lavoratori con almeno 63 anni d’età di anticipare, con un massimo di tre anni, la pensione (anticipazione pensione, Ape), a decorrere dall’1 gennaio 2017. Un esempio può consentire di cogliere meglio l’effetto pratico più rilevante.

Ipotizziamo uno stipendio mensile netto di 1.200 euro al quale corrispondano una pensione di mille euro e una richiesta di  quiescenza anticipata di tre anni. In tal caso l’Inps anticiperebbe mille euro per 36 mesi (36 mila euro), somma che il pensionato dovrebbe poi restituire in vent’anni dal quarto anno successivo all’anticipo, tramite 240 rate mensili: pertanto 36 mila euro diviso 240  dà 150 euro, somma che rappresenterebbe la rata mensile da detrarre dai mille euro. La pensione si ridurrebbe così a 850 euro. Chi avesse dunque pensato, prima della riforma Fornero, una volta in pensione e sulla base dei diritti acquisiti, di dover ridurre il proprio tenore di vita confidando su mille euro anziché 1.200, dovrà rifare i conti, sapendo che potrà contare solo su 850 euro mensili  per vent’anni e, solo dopo aver estinto il debito, dagli 87 anni in poi riceverebbe mille euro. Si tratta di un provvedimento palesemente ingiusto che si somma agli errori della riforma Fornero: pare infatti ignorare, tra l’altro, che molti lavoratori e lavoratrici (classe  1951) hanno iniziato a lavorare a 15/16 anni e tanti fra loro anche senza contributi per anni, secondo gli usi e i costumi diffusi all’epoca. In particolare, per intenderci, per categorie come lavoranti a domicilio, braccianti, manovali, operai. Orbene, molti di quei lavoratori, dopo una maratona lavorativa di quaranta/cinquant’anni anni (legittimamente stanchi?), quando già vedevano prossimo il traguardo si sono visti spostare la meta di qualche anno. Come se non bastasse, è stata bloccata anche la rivalutazione delle pensioni, provvedimento dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale nel 2015 (http://www.cortecostituzionale.it/ sentenza n.70 ) con la seguente pronuncia: “Risulta irragionevolmente sacrificato l’interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata”.

 

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