La chiusura di Fico e la fine di Moda Makers: da due fallimenti, un'idea di rilancio per Carpi

Oggi arriva da Fico l'annuncio che il parco enogastronomico ricavato accanto al Caab, il Centro agroalimentare all'ingrosso di Bologna, da domani chiuderà in vista, c'è scritto nel comunicato, di un nuovo progetto tutto nuovo e tutto diverso. Chissà perché, ci viene da mettere in relazione questa, con l'altra notizia che Moda Makers rinuncia alla prossima edizione, in questo caso però senza annunciare futuri progetti o appuntamenti. Dove sta il collegamento? Che cosa c'entra l'agroalimentare con il tessile? Ci arriviamo. segue

 

Diciamo intanto che una rassegna agroalimentare permanente, ben gestita e capace di unire commercializzazione e produzione com'era nella missione di Fico, avrebbe molto più successo (qualcuno la vada a dire a Oscar Farinetti) in una posizione quale potrebbe offrire Carpi sui terreni prospicienti il casello autostradale e ben in vista dall'A22, di quanto possa assicurare una location dispersa e irraggiungibile nell'estrema periferia nord di Bologna. Lo abbiamo scritto e riscritto più volte: il Caseificio Oratorio San Giorgio, con il suo supermercato, la trattoria di Cognento e il Caseificio sociale Zappiano godono oggi di benefici e di un'attrattività per la posizione nei pressi dell'autostrada che una grande vetrina organizzata, stabile, sostenuta dai Consorzi del Lambrusco, del Parmigiano-Reggiano, dalle Cantine, dai produttori di carni suine e di salumi dell'area vasta modenese e reggiana potrebbe moltiplicare enormemente. Lo ripetiamo, perché – e sta qui il nesso – c'è un vuoto da riempire a Carpi del quale la messa in disparte di Moda Makers è solo l'ultimo segnale. Questo vuoto, nell'immediato e in attesa che qualche investitore si accorga della posizione strategica di Carpi, lo può riempire solo un'efficace rappresentazione dell'enogastronomia alla confluenza tra la spina dorsale della penisola, l'A1, e l'A22 che la collega al Nord Europa. Se c'è una rassegna fieristica, questa volta permanente, sulla quale valga la pena investire crediamo che sia questa.

 

Significa mettere definitivamente da parte ogni idea di promozione del tessile, che (dato 2021) fa pur sempre lavorare a livello distrettuale 596 imprese di maglieria e confezione per 5mila 425 addetti e un fatturato di 1,327 milioni di euro? Nient'affatto. Significa solo che insistere sui negozi come destinazione finale, anziché sull'ingrosso e sui grandi buyer evidentemente non porta da alcuna parte. Serve piuttosto tornare umilmente al conto terzi che ha fatto in passato la fortuna del settore. Ma non da rassegnati convertiti al basso prezzo in concorrenza con i cinesi, bensì da produttori capaci di investire a livelli unici di eccellenza e qualità, dove contano i saperi, la tecnologia e l'innovazione. E vendendo ai costi che questo tipo di produzione merita, entrando cioè nella fascia del lusso. C'è un esempio significativo, a Carpi: Crea Si, che non è un brand o una griffe, come tanti si sono illusi di diventare a Carpi allestendosi anche la propria piccola fiera, ma la garanzia che chi vuole farsi un prodotto moda, lì trova chi glielo esegue al meglio. E se viene richiesta anche la produzione, oltre al campionario, servirà attrezzarsi anche con competenze in fatto di industrializzazione (l'industrializzatore è una delle figure professionali più richieste, oggi, nel settore). Qualora prevalesse questa linea, niente impedirebbe di crearle accanto anche una vetrina permanente del "saper fare”, un punto di smistamento per produttori finali che qui sanno di poter trovare la qualità. Quante delle aziende finali oggi sopravviverebbero a questa conversione al conto terzi di eccellenza? Non lo si può prevedere: è certo però che quelle che lo hanno fatto, accettando di “scomparire” sotto marchi altrui, ma di assoluto prestigio, stanno dimostrando che un bagno di umiltà profumato di eccellenza, può funzionare.