Perché Meloni sale nei sondaggi: gli immigrati, la famiglia, il carrello tricolore e la sindrome della ''grande proletaria''

E' vero tutto: che il Governo Meloni si sta inventando un nemico al giorno; che l'attacco alla sentenza di Catania in nome del diritto a governare da parte di chi è stato "democraticamente eletto” è un insulto alla separazione dei poteri; che la sostanziale impotenza a gestire il timone dell'economia e della finanza diversamente dai governi precedenti lo obbliga a emettere ogni volta segnali identitari, che siano sulla sicurezza o sui muscoli esibiti in materia di immigrazione o nei conflitti con questo o quel Paese della Ue per finire alle manganellate di Torino agli studenti. I giornali di sinistra non perdono occasione di rimarcare questi aspetti, ma intanto – notizia di oggi – FdI cresce nei consensi e calano tutti gli altri, fatta eccezione per Forza Italia ancora avvolta nell'alone mistico del ricordo del fondatore.

A cercare di capire perché accada, verrebbe da sfogliare le pagine della storia. Ma non per evocare impossibili ritorni del fascismo nella sua forma conosciuta, bensì per ripercorrere meccanismi che si ritrovano oggi nell'agire e nell'immaginario collettivo che lasciano prevedere, con le elezioni europee, un ulteriore sfondamento da parte del partito di Giorgia Meloni. Proprio com'è accaduto che partiti populisti di estrema destra andassero al potere e lo rafforzassero con un voto assolutamente democratico. Quali sono, dunque, le costanti che agevolano il consenso all'estrema destra, nonostante magari il suo governo non brilli, o l'inflazione prosciughi le tasche, o le tante promesse elettorali non abbiano avuto un seguito? segue

Il primo è la presenza di una minaccia, o ritenuta tale e comunque incombente e generatrice di paure. Di chi o che cosa stiamo parlando? Degli immigrati, ovviamente: che, basta leggere i sondaggi di questi giorni, hanno sostituito il Covid nella classifica delle preoccupazioni degli Italiani. Non è sufficiente constatare che anche il Governo Meloni brancola nel buio né riesce a dare una risposta a un fenomeno che via via si è intensificato proprio nel suo primo anno di mandato. E' sufficiente, per l'immaginario collettivo, la certezza che “gli altri” – la Chiesa, la sinistra con in testa il Pd, i "buonisti", le élite culturali con i loro giornali e il rifugio confortevole delle Ztl – vorrebbero invece accogliere e integrare. E più ne arrivano, di immigrati, più si manifesta l'impotenza a risolvere la questione con misure concrete, più l'astio si riversa sui fautori dell'accoglienza. In altri termini, la paura di perdita di identità e il senso della minaccia prevarica la ragionevole pretesa che i cittadini potrebbero accampare di misure concrete: ma il colpevole di tutto questo non diventa il Governo, bensì quanti, sul fenomeno migratorio, la pensano in termini più problematici della maggioranza.

Il secondo è quella che si potrebbe definire la sindrome da ”grande proletaria”. E' un'espressione coniata da Giovanni Pascoli nel 1911, all'epoca della guerra di Libia, quando il suo sentire umanitario e socialista si trasferì dalla classe lavoratrice alla nazione, all'Italia che, con quella guerra coloniale, stava sgomitando per cercare il proprio posto fra le nazioni più ricche e potenti (il concetto era caro anche al Duce, che parlò di "Italia proletaria e fascista”, serrata dalle catene delle plutocrazie occidentali, nel suo discorso per l'entrata in guerra). Non saranno quei tempi, ma l'affermazione di Meloni rivolta all'Europa e secondo la quale “...è finita la pacchia” ai danni dell'Italia, un po' non li ricorda? E i conflitti permanenti con Germania e Francia, cofondatrici dell'Ue con l'Italia, ma accantonate per cercare amicizie marginali rispetto all'Europa che conta? Serve anche questo, a indirizzare lontano da palazzo Chigi la ragione delle cose che non vanno, soprattutto in economia, ma anche per gli immigrati: la sindrome dell'assedio, insita nella prospettiva di un soffocante patto di stabilità imposto dagli altri, nel rifiuto del Mes divenuto perfino ideologico e simbolico e la congiura internazionale per isolare l'Italia e farne la Tunisia europea in fatto di immigrazione. Anche qui, insomma, esistono degli "altri” colpevoli delle cose che non vanno, perfino negli scontrini di una spesa impoverita dai prezzi.

 

E qui veniamo alla terza costante che spiega il permanere del consenso a Fratelli d'Italia, nonostante tutto. E' il dono, la concessione, la parentesi nell'assedio dei prezzi. Niente di sistematico, nell'aggredire il caro vita: niente che ricordi una visione, una prospettiva che si chiami politica industriale, incentivi alla produttività, industria 4.0. In altri termini, una politica di attacco che inverta la tendenza all'impoverimento. Si è scelta la pausa, l'accordo con la grande distribuzione per ribassare i prezzi o bloccarne per qualche tempo il rialzo. Il dono, la concessione, beninteso, è stata opera anche di altri governi, ugualmente incapaci di passare a politiche attive. Qui però, con il Governo Meloni, assume caratteri ideologici: il carrello diventa "tricolore”, una chiamata a condividere sotto un vessillo unitario. Intanto ci prendiamo questo, è vero, lo sconto 40 per cento: ma ci viene dato quasi sotto il segno di una militanza, della condivisione di uno scopo comune. Tant'è che i cronisti di Repubblica si precipitano subito a verificare se davvero si è speso meno e la corsa a svuotare gli scaffali dei prodotti scontati, com'è accaduto questa mattina al Borgogioioso, viene considerata dai giornali dell'altra sponda come un segnale indiretto di partecipazione. 

Ultimo meccanismo: la visione della famiglia. Lo faceva notare oggi in un editoriale Francesco Merlo, penna autorevole di Repubblica: da quando in qua la famiglia tradizionale, composta da padre, madre, figli e magari nonni, è patrimonio esclusivo della destra e tutto il resto, le infinite variazioni sul tema che la stragrande maggioranza del popolo italiano peraltro non vive, sarebbe invece della sinistra e dipinto come un disordinato universo di formule? Lo stesso Merlo faceva l'esempio delle biografie di coppia non proprio nitide di Salvini e della stessa Meloni, sia nell'attuale che nella famiglia d'origine, per non evocare Fini, Bossi, Casini, Berlusconi, contrapponendole ironicamente alle stabilità di Prodi, Bersani, Gentiloni, Franceschini e molti altri, da quella parte. Eppure...Eppure il messaggio è passato: i diritti civili sono stati dipinti come il cavallo di Troia della disgregazione della famiglia e la sinistra ne è l'interprete principale. Altro che la sua presunta egemonia culturale: qui tutto il senso comune sta dall'altra parte. E a ben vedere, sapendo quanto conti la famiglia nell'italica visione della società, è forse quest'ultimo fattore, se siete riusciti ad arrivare fin qui, fra tutti quelli sopra elencati il più decisivo a spiegare il consenso in ascesa del partito della premier.