Maggio di rose di giostre e di vite possibili

Di maggio. Quello vero, di oggi e di ieri. Di maggio vengono prima le rose. Quelle per la festa della mamma, quelle lungo le aiuole che brave casalinghe hanno mantenuto prive di erbacce e monde di pidocchi. Quelle davanti alle madonne che siano sugli altari o davanti alle colonnine delle maestà rimaste lungo i fossi delle campagna. Anche quelle messe davanti alle fila delle viti a fare da spia se arrivano parassiti indesiderati. Rose che non ci sono più in vecchi roseti arrampicati o sopra pergole della memoria. Quelle che fanno cadere petali, quelle che non fanno in tempo a farsi ammirare in boccio, che è in boccio che le rose sono più belle. O anche quelle ricevute per amore, ma quelle non hanno stagione. Quelle davanti alla grotta della Madonna intanto che si sente la canzone, dalle suore quando c’era il cortile e la statua di Bernadette. Di maggio, allora, con una camicetta, niente di logoro e strappato, niente di luccicante, niente di attillato come i brutti leggings che adesso mostrano sederi da nascondere, un golfino per quando tirava un alito di vento. Un golfino blu, la coda di cavallo, la bicicletta. 

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