Massacri In cucina

Quelle che voglio raccontare sono cose scandalose della mia famiglia. Non cose di gossip o peggio, cose di cucina. Di quelle che sono diventate impossibili o scorrette da un poco di tempo a questa parte per via dell’alimentazione salutista o anche solo moralmente lodevole. Cose che fanno un poco schifo a ripensarle, ma che erano come l’esotismo della tavola. 

C’erano le cervella fritte. La nonna le comperava prima che costumasse la paura della mucca pazza. Ci infilava le dita per ripulirle dalla membrana, le faceva a tocchetti, le infarinava e le friggeva nel burro. Altra ricetta un poco sanguinolenta era il fegato che veniva avvolto nella sua speciale retina di grasso e poi fritto pure quello, ma non nell’olio d’oliva, credo nello strutto. L’olio d’oliva era una cosa speciale e non ordinaria come adesso che ce ne sono molte qualità e molti tipi dai prezzi assai differenti che bisogna distingue da lunghe e attente letture di etichette. Mi ricordo vagamente che si andava nel negozio lungo via Paolo Guaitoli. Ma era lo stesso che vendeva il latte? Qualcuno mi correggerà. Di certo si andava con la bottiglia e si riceveva l’olio attraverso la mescita di un mestolone e di un imbuto. La bottiglia aveva il suo tappo di ceramica col gommino e lo scatto di ferro che la chiudeva. Se vuoi, quelle bottiglie le ritrovi, ora, all’Ikea o a qualche mercatino o nella cantina di qualche nonna. 

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