L’Europa spaccata in due

Il dato di fatto al momento è che lo stato in cui si ritrovano le economie europee, dopo alcuni timidi tentativi di ripresa dello scorso anno, è di un nuovo rischio di forte rallentamento. Se da un lato la paura del terrorismo può avere inciso sulle scelte di alcuni imprenditori di sospendere nuovi investimenti aziendali, dall’altro lato ci sono delle ragioni più profonde che spiegano lo stallo dell’economia dei paesi dell’eurozona, fatta eccezione per la Germania.

La lentezza della politica europea nel gestire la grave crisi economica iniziata nel crash 2008-2009 sta alla base della spaccatura europea su molti fronti. Tale situazione, seppur delicata nella sua risoluzione, è il frutto anche del ritardo dell’intervento della Banca centrale europea a sostegno delle imprese e dell’economia finanziaria nel suo complesso, con il piano di stimoli monetari iniziati solo lo scorso anno, ben sei anni dopo l’inizio della grande crisi. Come mai è servito tutto questo tempo? E per quale motivo la Bce è stata l’ultima delle banche centrali a dare il via agli stimoli monetari? Forse ai Tedeschi era più conveniente prendere tempo per consentire poi alle aziende del proprio paese di “inghiottire” lentamente altre aziende concorrenti dei paesi europei più in difficoltà, come quelle italiane e spagnole? E ora che i principali dati economici-finanziari sono tutti in peggioramento, dal momento che le borse scendono, i tassi d’interesse scendono, i consumi languono e la fiducia dei consumatori ritorna a vacillare, siamo proprio sicuri che la nuova droga di liquidità della Bce a partire dal prossimo giugno potrà bastare per evitare quanto meno una nuova e dolorosa ricaduta in recessione? Sarà il caso che, una volta per tutte, appurata l’incapacità della sola politica monetaria della Bce di risollevare l’economia europea, si punti dritti e velocemente a obbligare gli stati a nuovi stimoli fiscali, sostenendo quelli più bisognosi. Solo ridando fiducia alle imprese e ai consumatori, in particolare all’ampia fascia meno abbiente, si potrà tamponare il dilagare della povertà e ricreare delle condizioni di ripresa economica più solide. Il tempo delle attese è scaduto e servono delle misure fiscali immediate e proficue anche perché, nel frattempo, la situazione potrebbe incontrare nuove difficoltà mondiali come per esempio il forte rischio di vedere per alcuni mesi la risalita del cambio euro/dollaro Usa. 

Come mostra l’analisi grafica, dopo il forte deprezzamento dell’euro a partire dall’estate del 2014 il cambio euro/dollaro è sceso da 1.35 fino a 1.05, ma poi per tutto il 2015 si è stabilizzato nella fascia di prezzo 1.05-1.14. Ora esistono delle condizioni tecniche rialziste che anticiperebbero un nuovo rafforzamento dell’euro valide al superamento di area 1.145 ed estendibili fino alla fascia  1.20-1.25 almeno. Come dire, se pure il cambio euro/dollaro giocherà a nostro sfavore, credo che sia giunto il momento di agire in maniera diversa se si vuole evitare veramente una nuova recessione. America docet.

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