Salassi

Ma di che cosa ci si meraviglia? Quale partito non avrebbe subito un salasso, prima do­vendo fare da spina dorsale a un governo tecnico da lacrime e sangue, su perentorio ordine di “re” Giorgio Napolitano. E poi venendo indotto a ca­ricarsi di una governabilità precaria, perennemente in bilico, ricattatata e ricattabile da statisti alla Angelino Alfano e da un partitino moderato in tutto, tranne che nelle pretese. Con il risultato di rendere flebile, com­promissorio e dannatamente litigioso (quante volte si è letto: “Il Pd diviso”) ogni minimo atto di governo, figurarsi quelli che avrebbero dovuto rappresentarne al meglio l’ispirazione e la volontà. Il tutto mentre fuori c’era chi incassava consensi, intercettando bea­tamente tutto lo scontento e le paure, tagliando con l’accetta i problemi e gli slogan. Per cinque anni il Pd si è accomodato in tutto questo, cullandosi nel potere come fine anziché come mezzo. E consegnandosi a uno, marginale rispetto alla sua storia, ma ben dentro questa confusione eletta a cifra politica. Ora al Pd resta solo da imparare a ripensarsi, facendo a meno di lui. 

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