Fossi un sostenitore della cosiddetta “famiglia naturale” (padre, madre e figli) mi preoccuperei. In primo luogo per l’assurdità del concetto di riferimento, quello appunto di “famiglia naturale”: la famiglia mononucleare, in quanto tale, è una delle costruzioni più artificiali che l’uomo sia riuscito a concepire, come dimostrato dal fatto che lo stesso uomo per gran parte della sua storia ha praticato soluzioni aggregative alternative (famiglia allargata, famiglia multinucleare, clan, eccetera) e che, salvo alcune, rare, eccezioni, per lo più presenti nei cartoni animati della Disney, nel mondo animale e vegetale (quello che dovrebbe costituire la natura animata) non esistono né la festa della mamma né quella del papà.
Naturale o non naturale, semmai – e qui mi paia risieda gran parte dell’equivoco – è la modalità riproduttiva, nel senso che un conto è creare nuova vita attraverso un accoppiamento eterosessuale (natura), un conto è sostituire oppure integrare la prassi validata da qualche milione di anni di evoluzione – quella solitamente indicata dai maschi con il pugno semichiuso e il movimento percussivo dell’avambraccio – mediante strumenti e tecniche che la scienza e la ricerca hanno nel frattempo messo a disposizione (non natura). Un mio amico dell’adolescenza, in verità, sosteneva di essere in grado di fecondare coetanee particolarmente attraenti solo con l’intensità dello sguardo, oppure anche tramite telefonate eccezionalmente intense, ma in assenza di riscontri probatori è toccato sempre esercitare, al riguardo dei suoi presunti, smodati, poteri, il doloroso ma indispensabile beneficio del dubbio.
Da sostenitore della famiglia (presunta) naturale sarei però preoccupato, più che dall’assurdità logico-ontologica della nozione, dalle tendenze che è possibile riscontrare, in ordine al tema “famiglia”, nelle strategie di marketing e pubblicità delle aziende, grandi e piccole, che producono per il consumo in questo avvio di ventunesimo secolo. Non so se è una percezione solo mia, ma ho l’impressione che, di questo passo, per vedere in uno spot qualsiasi la rappresentazione di una famiglia nucleare, diciamo così, “tradizionale”, sarà presto necessario recarsi in un museo o rovistare in siti telematici d’archivio.
Dagli alimentari ai detersivi, dalle automobili alle vacanze le comunicazioni promozionali dell’epoca corrente sembrano avere un solo denominatore comune: la ricusazione, quasi la vergogna, verrebbe da dire, della famiglia stile Mulino Bianco che, non sono trascorsi molti anni, ha lungamente primeggiato nell’immaginario dei creativi e dei consumatori. Ora, capisco che se devi vendere un profumo da cento euro a decilitro non puoi far vedere il ragionier Mario Rossi con consorte e prole azzimata, ma è meglio impiegare, per la réclame, un semidio muscoloso che spunta dalle acque (in boxer attillati, ovviamente) inseguito da una torma di sirene. Il problema – o, per meglio dire, la grande, e inattesa, novità – è che ormai anche per pubblicizzare pannolini e merendine si usano famiglie destrutturate, senza maschio, oppure con maschio che però non è il papà, con doppia femmina, con nonno privo di nonna, eccetera eccetera.
Dato che nascono dai soldi e per i soldi, le scelte dei pubblicitari non sono casuali, e ci raccontano, ma anche anticipano, la famiglia o, a essere più precisi, la non-famiglia (almeno in senso tradizionale) che va determinandosi nell’era del turbo-capitalismo.
In questi casi, anche se dolorose, servono franchezza e onestà intellettuale: la famiglia standard ha avuto una grande funzione nella fase di avvio dell’economia borghese e del suo consolidamento (lo aveva scritto anche Hegel, e per me basta e avanza). Dopo aver riempito e saturato le case e le vite delle famiglie mononucleari, il mercato ha però dovuto inventarsi qualche soluzione stravagante e innovativa. Ecco allora il single, che da sinonimo di sfigato assurge al ruolo di unico soggetto veramente libero e sovrano; ecco le famiglie palinsesto, con il doppio, triplo papà o la doppia, tripla mamma, tutti in concorrenza per procacciarsi i favori del pargolo; ecco la legittimazione delle (sacrosante, sia ben chiaro) unioni omosessuali; e così via. Tutte soluzioni familiari che fanno inorridire passatisti, moralisti e giovanardi variamente assortiti, ma che rappresentano una pacchia per gli strateghi del consumo. Perché la famiglia tradizionale, stile Mulino Bianco, accudiva i gattini trovati per strada e consumava colazioni di irripetibile calore ma, accidenti, era una congrega di risparmiose formichine tutte concentrate sulla paghetta, i soldi per l’università, il gruzzoletto in caso di imprevisto, e così via. Queste new family asimmetriche e sgarrupate, invece, saranno anche difficili da inquadrare, ma sono delle idrovore di denaro, consumano per quanto (a volte più di quanto) guadagnano, sicuro che sotto il cuscino non mettono neanche un centesimo. E pazienza se i biscotti adesso sembrano meno buoni, e due volte su tre te li mangi in triste solitudine. Anche Antonio Banderas, per dire di uno che non dovrebbe avere problemi a socializzare e metter su famiglie, è quasi sempre lì che parla con le galline...