E poi ci lamentiamo

Sono sempre stato un grande consumatore di quotidiani. Locali e nazionali, generalisti o sportivi, di sinistra e di destra. Da un po’ di tempo, però, ho ridotto il dosaggio quotidiano di cellulosa a stampa. C’entrano, sicuramente, le nuove tecnologie, grazie alle quali viviamo in una (a volte soffocante) mediasfera capace di rendere superflua la lettura dei giornali. C’entra la crescente sensazione, probabilmente legata all’avanzamento anagrafico, che in merito a certe questioni, apparentemente d’attualità (riforme istituzionali, lotta alla corruzione, eccetera), si vive, più che come sugli alberi le foglie, direttamente come i criceti sul ruotino, o come l’ochetta dell’omonimo gioco: sempre al punto di partenza. Se dovessi individuare, però, il principale, e più reale, motivo della mia disaffezione e timidezza nei confronti della carta stampata, non avrei dubbi, a costo di fare la figura del disertore civico: a me la lettura dei quotidiani, che in certi amici e colleghi – che ammiro – determina consapevolezza, indignazione, desiderio di partecipazione e virtuosi effetti consimili, ecco a me il Corriere della Sera o la Repubblica (non dico il Fatto o il Giornale) mettono addosso un’angoscia che, come si dice, metà basta. E pensare che negli ultimi tempi i direttori delle grandi testate d’informazione a stampa hanno capito l’antifona e si sono messi a pubblicare anche cose che una volta facevano solo i settimanali o i rotocalchi, tipo approfondimenti conoscitivi, storie esemplari, addirittura notizie positive. Niente da fare, però, nel mio caso. Prima leggevo i giornali di sera, perché mi piaceva far decantare le informazioni e gli articoli, e poi meditarli con la calma che si addice alle atmosfere rarefatte del dopocena. Risultato: in misura sempre crescente ero vittima di un malumore notturno che popolava diffusamente i dormiveglia, finendo per occuparmi anche i sogni, nei quali invece di volare o rifare l’esame di maturità (due classici dell’onirologia popolare), mi trovavo, che so, in compagnia di un qualche tangentaro beccato il giorno prima, oppure di Alfano che annunciava la fondazione di un nuovo gruppo parlamentare. 

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