E’ arrivato il nativo digitale

Domenica 12 novembre 2017, intorno alle ore 18.25, ho capito che cos’è veramente un nativo digitale. La nozione, per la verità, non mi era estranea: lavorando a scuola si può dire che quello del giovane cresciuto nel brodo delle nuove tecnologie è uno dei tormentoni più accreditati, e in qualche modo anche funzionali a spiegare la crescente incomunicabilità fra adulti e giovani, fra docenti e discenti. Secondo le teorie più diffuse, infatti, io, che ho quarantasei anni e faccio l’insegnante, sarei un immigrato digitale, cioò uno nato in una mediasfera caratterizzata da analogia e carta stampata, in crescente difficoltà nel momento in cui si deve confrontare con coloro che invece hanno imparato, fin da subito, con i primi giochi e le prime app, a usare il polpastrello invece della mano, l’indice invece del pollice opposto.

Domenica 12 novembre 2017, intorno alle ore 18.25, mi trovavo, per la precisione, in un cinema di Modena a vedere, insieme a Sofia, nove anni, e a una sua amichetta, un film per bambini non preclusivo della presenza e partecipazione emotiva degli adulti, “Paddington 2”, il sequel delle storie dell’orsetto di origine amazzonica trapiantato in una Londra straordinariamente calorosa e accogliente nei confronti del piccolo urside. Alla mia sinistra, in posizione defilata rispetto allo schermo, si erano sedute, non senza aver dato sfoggio di una qualche forma di esuberanza giovanile e di alcuni saggi di turpiloquio adolescenziale, tre ragazzine, di età non facilmente definibile, ma sicuramente collocabili nell’alveo della scuola media. Le loro movenze, e anche la loro problematica dislocazione fatta di un continuo andirivieni tra i posti prenotati in attesa di definire la posizione ottimale, erano potentemente intralciate dalla necessità, all’apparenza non derogabile, di tenere in mano contemporaneamente giacca, berretto e sciarpa, nonchè il maxi contenitore di pop-corn e, ultimo ma non meno importante, losmartphone, oggetto notoriamente incompatibile con una collocazione temporanea in una tasca o in una borsa. Dopo un lungo tramestio e un vociare che aveva finito per sovrapporsi alla sigla iniziale del film, le ragazzine si erano calmate. Probabilmente si trattava di una pausa tattica, una sospensione per capire giusto appena di che cosa parlasse esattamente la pellicola, considerando che con tutta evidenza le teenager erano venute al cinema in quanto atto fine a se stesso, senza preoccuparsi troppo di cosa sarebbero andate a vedere.

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