L’allenatore nel pallone

C’è in giro attesa di un uomo forte. Decisivo. Risolutivo. Un uomo della provvidenza, che prenda per le corna la situazione e i problemi delle persone, delle famiglie, delle comunità. Del paese. E li risolva, con gesto supremo e istantaneo. Non necessariamente questo anelito si traduce in un’istanza dittatoriale. Certo, in Italia quando dici “uomo forte” non pensi, su basi storiche, a Giolitti o Fanfani. E nemmeno a Gentiloni. Ti viene in mente il Mascelluto, il volitivo duce di Predappio che ha preteso di essere – e, in certo modo, è stato effettivamente, di nefandezza in nefandezza – l’uomo della Storia per la nostra penisola. Ma l’associazione fra provvidenzialismo e autoritarismo è estrinseca, non necessaria. Ci sono stati e ci sono uomini del Fato che hanno fatto della gentilezza, per non dire della tenerezza, il proprio tratto distintivo. È alla loro valenza salvifica, e non al pugno duro, che hanno guardato e per cui hanno sospirato, e a volte ancora sospirano, i popoli della penisola. L’attesa messianica, in base alla quale uno, e solo uno, possibilmente da solo, dovrebbe ricondurre le genti disperse e disilluse dello stivale all’eldorado della prosperità e della pacifica convivenza, sopravvive, anzi sembra addirittura rafforzarsi, in presenza delle delusioni della politica. Che, dopo la fine della cosiddetta Prima repubblica – notoriamente caratterizzata da un basso tasso di leaderismo e di personalismo – ha partorito e poi divorato, ineluttabilmente, tutti gli enfant prodige in odore di poteri taumaturgici. Berlusconi, Prodi, Renzi – senza considerare le figure di confine, come gli oggi dimenticati Mario Segni o Antonio Di Pietro – hanno solidificato, per brevi o più ampie stagioni della storia del paese, il sogno popolare e collettivo del demiurgo, quello che trasforma il caos (sociale, economico, istituzionale) in ordine. In cosmo. Sappiamo poi come è andata, soprattutto perché di queste figure, e delle elevatissime aspettative che avevano generato, conserviamo quasi solo le rispettive trasfigurazioni di ordine satirico prodotte dai Guzzanti e dai Crozza. Eppure, malgrado le dure lezioni dell’esperienza, gli Italiani non hanno smesso di guardare in cielo, nella speranza che qualche occhialuto Clark Kent, previo adeguato travestimento, venisse a redimerli e riscattarli. Anche nelle ultime elezioni ci hanno provato, tentando di soffiare vento nelle vele di Matteo (il secondo) e di “Giggino” (caratteristica interessante dei populismi, avviata da “meno male che Silvio c’è” e dal primo Matteo, Renzi, è la tendenza dei militanti e sostenitori a chiamare per nome i leader di riferimento, scognomandoli).

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