Vasco, tre volte grazie

Non sono un fan di Vasco Rossi, ma ho molti motivi di gratitudine nei confronti del rocker di Zocca.

La prima ragione di riconoscenza è contingente, ed è legata al fatto che, con il maxi-concerto del primo luglio, Vasco Rossi ha comunque dato a tutti noi che viviamo nella provincia emiliana un qualche motivo aggiuntivo di discussione rispetto a temi stagionali abbastanza triti e, per così dire, scontati, come il caldo o la presenza capillare di zanzare.

Io non andrò al concerto, e, in tutta onestà, non saprei nemmeno citare titoli di canzoni di Vasco Rossi degli ultimi dieci anni. Eppure mi sono già trovato in più di una circostanza a discettare sulla opportunità o meno del mega-show, sull’impatto che esso avrà sulla città di Modena e sulle aree circostanti, sul significato che può avere un concerto che, più che un tripudio di gioventù e vitalità, può assomigliare, per tanti aspetti, al commiato di un artista e della generazione che è cresciuta con lui, e così via.

Quindi un primo grazie a Vasco, se non altro come motivo di discussione.

 

Una seconda fonte di gratitudine è invece di natura autobiografica. Ho smesso di seguire Vasco Rossi abbastanza precocemente, un po’ per ricerca di una certa qual raffinatezza musicale, un po’ per spirito da bastian contrario a fronte del successo crescente del cantante modenese, un po’ per la pesante, radicale, esterofilia che ha contraddistinto noi che siamo stati giovani negli anni Ottanta e che non avevamo dubbi sul dove stare nel momento in cui la musica italiana era incarnata da Loretta Goggi che cantava “Maledetta primavera” a Sanremo mentre sul proscenio internazionale c’erano cose, per dire, chiamate Clash.

Ho però un bellissimo ricordo del concerto carpigiano del 1985, che fra l’altro in questi giorni ho visto ripescato dal forziere della memoria per opera di molti che c’erano e che poi sono cresciuti con o senza le melodie di Vasco Rossi. Fu, per usare un eufemismo, un concerto abbastanza frizzante, certo privo di quelle connotazioni esistenziali e alternative caratteristiche dei grandi raduni degli anni Sessanta e Settanta, ma non ancora plastificato e incartapecorito dal business e dalla trasformazione degli happening musicali in veri e propri spettacoli. Diciamo, per farla breve, e senza immaginare chissà che, che i tre quarti dei comportamenti tenuti dalla giovane platea di quella convention oggi sarebbero perseguibili a norma di legge.

Insomma, un secondo grazie, memoriale e intimo, a Vasco. 

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