Fondazione. Arletti contro Ascari: ma che vuol dire ''lista dal basso''?

E ti pareva che la lista dell'imprenditore Giovanni Arletti per la Presidenza e il CdA della Fondazione CR Carpi non venisse presentata da lui e da qualcuno degli aspiranti Consiglieri come quella “dal basso”, fatta di “persone con competenze nelle istituzioni” e “professionalità eccellenti”, ideata per “scardinare vecchi sistemi”, addirittura “civica”, quasi che si debba convincere l'intera corpo elettorale cittadino e non i 17 Consiglieri di Indirizzo della Fondazione? E' una baldanza paradossalmente tutta politica quella con cui è sceso in campo il gruppo (Grazia Gamberini, Sara Colluccello, Annalisa Bonaretti, Mario Santangelo, Ermanno Ruozzi, Federico Cattini) messo insieme dal fondatore di Chimar, per rivendicare il proprio essere contro il compromesso politico-istituzionale su cui si regge quello che candida invece Mario Arturo Ascari. Arrivando ad accampare il proprio essere "espressione della città” e a liquidare come “accordo di bottega” il concorso nella lista Ascari di tre comuni, una diocesi, una Università, i mondi della piccola impresa e del volontariato.

Non poteva riproporsi in termini più plastici la logica che, almeno fino alla presidenza Ferrari, ha sempre guidato la scelta del gruppo dirigente della Fondazione: il muro eretto contro le pretese soprattutto degli enti locali di pesare nell'Ente, considerato “cosa nostra”, invece, dagli ambienti imprenditoriali e delle professioni, proprio in nome delle presunte, superiori ed esclusive competenze. Fu Gian Fedele Ferrari, pur essendone lui stesso espressione in quanto fortemente caldeggiato da Confindustria, ad annacquare la consuetudine, accaparrandosi sostegni in tutti gli schieramenti politici, intrufolandosi nelle linee frattura fra i vari mondi – comuni, diocesi, volontariato, ordini professionali, scuola – per fare alla fine quello che voleva. Fino a costruirsi il successore individuato addirittura nella figura di un Sindaco. Le cose si sono poi ricomposte con la Presidenza e il CdA uscenti che, almeno alle origini, recavano fortissima l'impronta dell'opposizione al Sindaco di Carpi da parte dell'ex Vicesindaco Morelli alleato al vescovo Cavina.

Venendo al merito, si può dunque capire come il ricomporsi di un fronte Diocesi-Comuni, vale a dire delle più rappresentative istituzioni territoriali, possa costituire qualche cosa di inusitato, un vulnus inaccettabile per i "competenti”, per quelli che, “dal basso”, cioè da fuori della politica e delle istituzioni, si ritengono predestinati e di sapere per esperienza imprenditoriale, familiarità con partite Iva, fisco, dichiarazione dei redditi, investimenti, carriere bancarie o popolarità sui social quel che davvero serve al territorio. Come se la Fondazione CR e la stessa comunità carpigiana si trovassero a navigare oggi nelle stesse acque dei tempi di Leo Goldoni, quando bastava poco per portare a casa cospicue rendite mobiliari e occorreva soprattutto far funzionare la bilancia equilibratrice nelle erogazioni a pioggia. Come se non occorressero advisor e commissioni consultive, ma fossero sufficienti le intuizioni di commercialisti ed ex dirigenti di banca membri di un CdA, per garantire il patrimonio investito. Come se una città in crisi – demografica, economica, di classe dirigente, di identità sociale e culturale – qual è oggi Carpi non imponessero alla Fondazione un ruolo di vasto respiro, che verrebbe da definire a sua volta di governo, come ha dimostrato di aver compreso Corrado Faglioni nella seconda parte del suo mandato con il piano investimenti varato dall'Ente. E come se, per far questo, bastasse un pugno di personalità raccolte da un imprenditore ispirato dall'economia di comunione di Chiara Lubich, e non servisse piuttosto uno stretto dialogo con chi, piaccia o meno, il territorio è stato chiamato ad amministrarlo. Sono i tempi, insomma, a dettare un ruolo politico per la Fondazione CR Carpi: nel senso specificato e in alternativa alle visioni o alle ambizioni di popolarità e prestigio di questo o quello, quando va bene, o ai giochi di scambio e alle prebende, quando va male. E se per essere all'altezza di quel ruolo l'altra lista ha dovuto sottostare a compromessi e ripensamenti defatiganti, va ricordato che questa è proprio la cifra del suo essere politica, nel senso migliore del termine.