Abbiamo ripercorso le principali tappe, dalle prime avvisaglie locali

Quaranta giorni con il virus

Un itinerario scandito da alcune date cruciali e da numeri troppo alti, per Carpi

Uscire dai fortilizi ospedalieri, passare all’attacco del virus, stanarlo anche per preservare gli stessi ospedali aggredendolo nelle case dei sintomatici, dei sospetti, degli isolati da Covid-19 positivo e di coloro che sono entrati in contatto con loro. È quanto va sostenendo da diversi giorni il commissario regionale ad acta Sergio Venturi nelle sue seguitissime dirette del tardo pomeriggio, dove fa il punto sull’emergenza Coronavirus in Emilia-Romagna. Un vero e proprio cambio di passo (“fase due” l’ha chiamata il presidente Stefano Bonaccini) che lascia spazio finalmente anche alle valutazioni percentuali della crescita giornaliera del contagio scesa nel frattempo intorno al 6,5 per cento il 27 marzo, rispetto a un andamento che era del 14,5 per cento solo il 15 marzo e del 10,9 il 21. Non è che la primaria trincea difensiva degli ospedali venga abbandonata dall’uomo assurto a volto e voce del Sistema sanitario regionale in questa fase emergenziale. Anzi. L’attenzione che Venturi riserva ai posti letto aggiuntivi dei vari nosocomi della regione, all’incremento di quelli di terapia intensiva, alla specializzazione Covid-19 di un numero sempre maggiore di strutture, ai punti di pretriage e, non ultimo, al grave problema dei dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario, questa attenzione, si diceva, occupa sempre largo spazio nelle sue comunicazioni. Ma è evidente che, proprio per essere divenuti il punto focale della risposta sanitaria, i luoghi di massima concentrazione di pazienti e personale che deve prendersene cura, in pratica, i soli posti di assembramento, gli ospedali, rappresentano oggi poli sensibili, da trattare con la massima cautela. Agendo in due modi. Il primo è quello del cordone, davvero “sanitario”, da crearvi dentro e intorno per evitare che da luoghi di cura si trasformino in centri di diffusione del contagio. Il secondo è il cambio di passo di cui si diceva: effettuare sortite dall’ospedale, per attaccare il virus dov’è e dove si propaga, attivando le cosiddette Unità speciali di continuità assistenziale, le Usca, costituite da medici e infermieri specificamente formati e protetti che vanno a fare visita a casa loro ai pazienti alle prese con il Covid-19, somministrando tamponi di verifica a chi, sintomatico e asintomatico sospetto che sia, si trovi in isolamento precauzionale. Lontano dall’ospedale, insomma.

LA SITUAZIONE A CARPI

Partendo dalla fine, l’attivazione proprio a Carpi di una delle prime Usca della regione rappresenta per un verso una prova delle capacità e flessibilità organizzative dell’Ausl di Modena, sia a livello territoriale che di presidio ospedaliero. Per un altro verso, induce a ritenere che possa dipendere anche dai numeri particolarmente negativi per Carpi. Ci sono stati giorni in cui la città ha contato 11 nuovi casi contro i 12 di Modena (16 marzo), 17 nuovi contagi contro i 15 di Modena (20 marzo), 12 contro 13 (21 marzo), 19 contro 28 (29 marzo), rimanendo comunque quasi sempre in doppia cifra. Tanti fattori vi hanno contribuito. Si provino a ricordare quei giorni di “fase grigia” dell’ultima decade di febbraio. Trascorso il periodo in cui tutto sembrava relegato alla Cina – ristoranti disertati, assenza di Cinesi alle varie manifestazioni fieristiche, crisi di forniture, eccetera – si imponeva l’evidenza drammatica del contagio in Lombardia e Veneto, con le zone rosse del lodigiano e di Vo’ Euganeo. Il 24 febbraio, con 19 casi in tutta la regione, a Carpi compare il primo della provincia. Scatta la quarantena nell’azienda Garc, il Sindaco ordina la sospensione del mercato, la chiusura degli impianti sportivi e delle palestre, ma intanto davanti agli ospedali si cominciano a montare tende anti contagio e al Ramazzini un servizio di pre triage. Il 27 febbraio, i casi a Carpi sono otto: “Normale trovare altri positivi nella cerchia dei familiari”, dichiara la direttrice del Distretto sanitario locale, Stefania Ascari. E parte la ricerca, che coinvolge la piscina e una discoteca, delle tracce dei possibili contatti dei primi Covid-19 positivi. Ma in città si respira voglia di convivialità, di “vincere la paura” frequentando i pubblici esercizi, siamo ancora nella zona dell’incertezza, quella che il Sindaco, il 2 marzo, descrive così: “Non siamo zona rossa, non siamo nemmeno alla stregua degli altri comuni dove non si è verificato alcun contagio”. Come sospesi, insomma. Lo sfondo è quello del decreto del 29 febbraio che ha sancito la chiusura delle scuole e la soppressione di tutti gli eventi, ma non la chiusura di pub, ristoranti, biblioteche, musei. E in sintonia con le notizie che arrivano su problemi che si sarebbero verificati negli ospedali di Codogno, Casalpusterlengo, Lodi e che fanno già intendere il ruolo delicato che cominciano ad assumere le strutture sanitarie, il decreto prescrive alle direzioni Ausl “limitazioni” alle aree di degenza degli ospedali, ancora più rigorose per la strutture protette con anziani autosufficienti. A conferma, a Modena, il 2 marzo, si ha notizia di due sanitari di Baggiovara – uno reduce da un servizio a Piacenza – positivi. Non c’è da stupirsi che in questo contesto incerto tra rigore e tolleranza, nel quale i quotidiani parlano ancora di “lento ritorno alla normalità” (Gazzetta, 5 marzo) con il mercato riaperto, il reparto di Medicina del Ramazzini venga inibito ai visitatori solo il 4 marzo. “Sono state attuate tutte le procedure previste per garantire la tutela e la sicurezza dei pazienti ricoverati in tutti gli altri reparti ospedalieri”, assicurerà il giorno dopo la direttrice Stefania Ascari nel dare notizia dell’isolamento domiciliare di alcuni operatori del Pronto soccorso e di Radiologia che si erano occupati di un 85enne al quale l’automedica non aveva in un primo tempo diagnosticato l’infezione. Spostiamoci ai 15/20 giorni successivi al primo caso e alla blindatura dei reparti ospedalieri, vale a dire tra il 10 e il 20 marzo. La sequenza nell’aumento dei casi testati a tampone a Carpi in rapporto con il capoluogo è questa: 5 contro 6, il 9 marzo; 3 contro 4, il 10 marzo; 9 (tra cui due medici) contro 6, l’11 marzo; 5 contro 6, il 12 marzo (in città vengono chiusi i parchi); 6 contro 24, il 13 marzo; 5 contro 13, il 14 marzo. Il 15 marzo si registra il primo decesso a Carpi, quando in tutta la provincia sono già 17, mentre i nuovi casi assommano a 11 contro i 12 di Modena. Il 16 marzo Carpi è a 7 nuovi contagiati contro i 21 di Modena. Il 18 marzo i quotidiani fanno il punto: Carpi ha avuto fino a quel momento 70 casi e 4 decessi contro i 115 e 6 decessi di Modena. Altro punto della situazione il 21 marzo: Carpi presenta 132 casi e 12 decessi, contro 187 casi e 13 decessi a Modena. I contagiati di Carpi rispetto a Modena passeranno dal 70 al 62 per cento la settimana successiva, ma i 22 decessi registrati al 28 marzo contro i 31 di Modena significano una percentuale del 90. Non si può dire che vi sia un rapporto causa effetto con gli eventi scelti come punto di partenza, mettendovi in mezzo l’incubazione: ma è innegabile che non c’è proporzione tra Modena (185 mila abitanti) e Carpi (71 mila). E nel punto fatto il 21 marzo, i quotidiani non dimenticano di riportare che Carpi ha avuto fino a quel momento 26 positivi fra i medici.

 

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