Il vescovo principe di una Chiesa sottomessa
Il più presente fra tutti i pastori della Diocesi del dopoguerra nelle vicende della politica
Non occorreva attendere la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche e la ricostruzione dell’episodio delle fontane danzanti “regalate” nelle intenzioni dell’assessore Simone Morelli alla Diocesi, per appurare che la Curia carpigiana non è mai stata, prima d’ora, così presente e interventista nelle questioni di politica cittadina. Basterebbero, al riguardo, alcuni cenni storici di raffronto con i governi diocesanix del passato. Il suo episcopato trentennale, dal 1952 al 1983, monsignor Artemio Prati, che era un conservatore non aggressivo e molto attento alle sfumature del linguaggio curiale (“Esempio di oratoria settecentesca costruita su una diuturna frequentazione degli scritti devozionali”, lo definì Gianfranco Imbeni) lo visse all’insegna dell’attenuazione degli effetti del Concilio Vaticano II, che non lo convincevano, e dell’anticomunismo dettato dal contesto storico. Ma con il sindaco Bruno Losi andò d’amore e d’accordo, tanto nella ricostruzione della città, quanto nella sua attenzione alle tensioni sociali create dall’impetuoso sviluppo industriale. Di Alessandro Maggiolini, vescovo dal 1983 al 1989, si può dire solo che di Carpi non volle e non trovò neppure il tempo di occuparsi, assorbito com’era dall’attività di pubblicista attento soprattutto alle vicende lombarde e al nascente fenomeno leghista. I dieci anni (1989/1999) di Bassano Staffieri fecero conoscere alla città un prelato asceta, fuori come pochi dalle vicende di questo mondo e, paradossalmente, vittima proprio di una di esse, come fu il dissesto di Educare spa. Il più attento alle questioni organizzative è stato forse Elio Tinti, a Carpi dal 2000 al 2011, rimasto però sempre all’interno dei confini della Curia, con il ridisegno del territorio diocesano, la chiamata di diverse congregazioni, il restauro delle chiese e l’apertura del Museo diocesano.