Don Luca Baraldi coordinatore del nuovo istituto: ragioni e aspettative

Laboratorio teologico sì ma che si apre agli altri

«Ha scritto Hervé Barmasse, guida alpina e autore valdostano, che il vero coraggio dell’alpinista non è quello di arrivare in cima ma, una volta giunto lassù, ritornare alla vita normale, perché sulla vetta ci sono solo silenzio e vento, mentre giù, nella città ci sono le storie degli uomini le loro lotte, gioie e fatiche ed è quella la grande sfida dell’alpinista». Parola di don Luca Baraldi, parroco di San Giuseppe Artigiano. Quarantadue anni, originario di Rolo, studi classici a Correggio e teologici fra Reggio Emilia, Bologna e Roma, don Baraldi è un altro di quelli che “la montagna dentro”, che è il titolo del libro di Barmasse, ce l’hanno per davvero, avendo al proprio attivo, fra le altre una scalata del Cervino, un’ascesa ai settemila del Pik Lenin nel Pamir, una sfida ai seimila del Pachermo Peak in Nepal e ai cinquemila della Cordillera Blanca, nelle Ande peruviane. La sua “discesa in città” riguarda invece la parrocchia più grande e popolosa di Carpi, con le situazioni di disagio comuni a tutte, accentuata qui da una presenza di popolazione immigrata superiore alla media cittadina e con la Caritas molto impegnata nella distribuzione di generi alimentari. Il lavoro quotidiano che comporta una “città” ampia e complessa come la sua parrocchia, non ha però impedito a don Baraldi di assumere responsabilità, per così dire, “alte” e piuttosto insolite, come il coordinamento del neo ricostituito Laboratorio teologico realino.

 

Ecco, don Luca: in una Carpi dove gli ambienti in cui si pensa e ci si confronta sono pressoché scomparsi, definita da Brunetto Salvarani “seduta e ripiegata sul proprio passato più che aperta al futuro”, allestire un Laboratorio di Teologia si direbbe un’iniziativa piuttosto coraggiosa. Che cosa vi aspettate?

«Credo che vada vista come un cammino a lungo termine. Se invece si guarda al riscontro immediato, non avrà un esito molto dissimile dai risultati esigui di tutte le proposte che oggi la Chiesa avanza. Il tempo delle grandi manifestazioni e movimentazioni di piazza forse è finito e non è neppure quello di cui c’è bisogno. È stato bello, per esempio, vedere piazza Martiri gremita quando venne papa Francesco, ma ora la situazione è molto diversa»

 

Vuol dire che non la riempirebbe più?

«Non lo so: forse sì, forse no. Quello cui si è pensato, con il Laboratorio, è stato di allestire uno strumento che serva in prospettiva, cercando soprattutto di attirare le generazioni più giovani: universitari e neo laureati o i gruppi di ragazzi che si stanno impegnando per l’ambiente e che hanno dato vita a diverse sigle. L’idea è di innescare un movimento di confronto e riflessione che, alla luce di quello che si sta vivendo, permetta ai cattolici e non solo di ripensare la propria fede o le proprie credenze, in una chiave diversa»

 

L’attenzione all’ambiente, è vero, pare uno dei pochi fattori in grado di aggregare giovani. E va nella direzione dell’enciclica Laudato Si’...

«Certo, l’invito che fece il Papa lo scorso anno di sostare per un anno intero sulla Laudato Si’ è stato preso sul serio e un modo per raccoglierlo è stato anche la nostra iniziativa. Con una specificità, però: non solo un’attenzione all’ambiente, che resta fondamentale, ma anche più in generale al tema dei rapporti fra culture e religioni, che mi sembra l’elemento più interessante. Nel senso che noi cattolici, fino a ieri pensavamo di essere i soli, noi, la religione del popolo in un clima di cristianità, eccetera. Ma non è così: penso che la presenza di tante religioni diverse o la viviamo chiusi ognuno nel proprio orticello, oppure decidiamo che è invece un bene, perché queste presenze debbono farci capire meglio chi è il nostro Dio. In altri termini: il nostro rapporto con la materia prima che è la storia che stiamo vivendo ci può permettere di elaborare un’immagine di Dio vicina a quella del Dio di Gesù Cristo. È partire dalla realtà per ripensare la fede»

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