Battere il grano: festa e lavoro
di Carlo Rossini
A quell’epoca, ahimé, alquanto remota, affermare che nel nostro paese fosse in atto un miracolo economico, poteva rivelarsi affrettato. Il dinamismo industriale e artigianale si stava abbozzando, ma per il momento, reggevano le tecnologie, connesse all’operosità contadina. Diventava una conquista farmi accompagnare in campagna dai nonni. Poi mettermi ai piedi gli zoccoli o addirittura passeggiare scalzo sull’aia fra le granaglie esposte al sole, dava una percezione di autonomia. Era anche l’unico svago o villeggiatura, in compagnia dei coetanei dell’isolato. Per noi bambini, digiuni e ignari finanche della prima immagine televisiva, poter assistere alla trebbiatura del grano costituiva un avvenimento. Realizzava una diretta dell’attività agricola, ma senza videocamera al seguito. Al risveglio del sole, un rumore a scoppio si udiva approssimarsi; e il suo rombo diventava sempre più assordante. I nostri occhi spalancati e curiosi riprendevano e memorizzavano il grande automezzo che avanzava e si mostrava di un grigio nebbia. I cerchioni delle sue ruote esibivano un rosso luminoso, e singolari pneumatici tracciavano calchi profondi nella polvere. Ad ogni suo boato, nuvole di fumo bluastro fuoriuscivano dallo scappamento spandendo esalazioni di carburante. La motrice trainava un ingombrante contenitore rettangolare. Era una battitrice da grano, dalle infinite sporgenze e organi rotanti connesse a cinghie di cuoio, e dall’inconfondibile tono arancione.