Il dialetto, lingua vera e con proprie regole. Presentati i volumi di Ori e Malagoli

Faceva un certo effetto ascoltare il Presidente della Fondazione CR Carpi, Corrado Faglioni, alle prese, ieri sera (ph. D'Orazi), con la presentazione dei nuovi volumi di Anna Maria Ori e Graziano Malagoli sul dialetto carpigiano, mentre ricordava al pubblico l'impegno dell'Ente nel progetto di un corso di laurea in Ingegneria a Carpi in cui si parlerà solo in Inglese. Se l'è cavata, spiegando che “...occorre attrezzare i giovani per il futuro, senza far loro dimenticare le radici”. Che poi, in fondo, è il senso di questa seconda operazione editoriale – l'altra, il "Dizionario del dialetto carpigiano”, degli stessi autori, risale al 2011 – che ha attirato un bel numero di persone all'Auditorium san Rocco per assistere all'evento promosso dalla Fondazione con la sezione locale del Rotary, rappresentata dal suo presidente, Mauro Bernini. E il senso è: tenere in vita una lingua che, più ancora di quella ripulita dell'Italiano ufficiale, rispecchia a fondo la civiltà locale, delimitata da Malagoli nel vernacolo "...intramoenia e aggiornato al Duemila”. Trattandosi di due volumi – uno il "Dizionario italiano-dialetto carpigiano”, che ha capovolto il precedente e l'altro, la “Grammatica del dialetto carpigiano”, impegnato sul fronte dei suoni, dei segni e della morfologia – indirizzati ad accreditare la forte coesione strutturale del dialetto, Anna Maria Ori ha compiuto un'ampia dissertazione tra antropologia, storia, letteratura e linguistica per dimostrare che quella oggetto delle due pubblicazioni, proveniente dal ceppo indoeuropeo, non è la lingua degli incolti, riflesso delle parlate grossolane delle classi povere, ma una lingua ben organizzata nelle proprie regole. Qualche studioso – come riferisce Sverker Johansson nel suo "L'alba del linguaggio” – ha definito la lingua come "...un dialetto con un esercito e una marina”: un effetto, cioè, della forza espressiva delle parlate, sommata a solide regole interne. Nel suo excursus, Ori ha citato il De vulgari eloquentia di Dante Alighieri – che non è andato perduto, semplicemente non è mai stato completato – riflesso della stima che proprio il sommo poeta aveva del volgare, contrapposto al latino dei dotti con il quale paradossalmente aveva scelto di comunicare la preferenza accordata al parlare della gente comune. (segue)

Un altro passaggio delle sue considerazioni Ori lo ha dedicato al tentativo di verificare l'assunto secondo il quale il dialetto di Carpi somiglierebbe più al reggiano che al modenese. Tentativo vano, ha riconosciuto, prima di inoltrarsi in una possibile spiegazione della diversa pronuncia di Modenesi e Reggiani, ricondotta alla loro classificazione, rispettivamente, di nusòun e testa quèdra: un effetto, ha azzardato con un tocco – si spera – di ironia, di crani dolicocefali e brachicefali, inducendo qualche spettatore a ricordare le leggi razziali del 1938. Si è attenuto invece al senso del tradurre l'Italiano nei lemmi di base del dialetto l'autore del dizionario, Graziano Malagoli, sottolineando la flessibilità e la capacità della parlata popolare di assorbire anche gli apporti linguistici più recenti, gergali o effetto di migrazioni, e richiamando tutte le iniziative che, fra siti social, consulte e iniziative editoriali stanno cercando di mantenere in vita un patrimonio culturale che cerca di sopravvivere alla civiltà preindustriale della quale soprattutto è stato espressione.