L'ipocrita uso della musica nei lager nel libro di Roberto Franchini
“E' mai possibile che in luoghi come i lager nazisti che erano l’abisso del male ci fosse una cosa bella come la musica? Sì, era possibile ed è anche avvenuto”. Così il giornalista e scrittore modenese Roberto Franchini, ha affrontato il controverso argomento nel corso della presentazione del suo libro “L’ultima nota. Musica e musicisti dei lager nazisti” presso La Fenice Libreria. L’evento, che rientra nel percorso Letture d’autore, ha così aperto il ricco programma di iniziative organizzate dalla Fondazione Campo Fossoli per la ricorrenza internazionale del “Giorno della memoria 2022” che si celebra il 27 gennaio a ricordo delle vittime dell’Olocausto. Alla presenza di Marzia Luppi, direttrice della Fondazione Campo Fossoli, di Davide Dalle Ave, assessore alla Cultura del Comune di Carpi e di un attento pubblico, l’autore ha preso per mano gli astanti in un percorso di immagini, di musica e di testimonianze, che hanno dato corpo a questo incredibile fenomeno.
“L’ultima nota. Musica e musicisti dei lager nazisti” è un libro nato lentamente, ha spiegato Franchini, perché circondato dall’incredulità sulla reale esistenza di questo fenomeno che, invece, nasce fin dalla realizzazione dei primi campi di prigionia aperti nel 1933 in seguito alle leggi che permettevano al partito nazista di arrestare chi voleva; prosegue nei successivi campi di lavoro associati alle aziende produttrici tedesche; e si protare infine nei campi di sterminio con camere a gas e forni crematori come Auschwitz, Terezin, Buchenwald, Dachau ed altri. Ma, a che cosa poteva servire la musica? “Ad accompagnare i prigionieri verso la morte – afferma Franchini –, per coprire le loro urla quando venivano torturati, a coprire lo sparo delle pallottole quando venivano uccisi. Gli altoparlanti trasmettevano musiche patriottiche, discorsi del Fuhrer, le orchestre suonavano di fianco ai cancelli, dando il tempo ai prigionieri che uscivano per andare al lavoro. Insomma la musica scandiva le giornate, era un elemento funzionale a organizzare la vita dei prigionieri”. Ma la musica è stata anche tanto altro ancora: come il far nascere brani musicali poi diventati famosi e, se pensiamo ad artisti transitati dal Campo di Fossoli, la composizione del “Concerto spirituale” del violoncellista modenese Giuseppe Selmi e “l’Inno dei prigionieri italiani di Hammerstein” di Lorenzo Lugli originario di Maranello. Però è stata anche un modo per resistere, come sostiene Franchini : “Io penso che la musica sia stata fondamentale per tenere in vita la speranza, altra cosa è tenere in vita le persone. Nel mio libro parlo della musulmana, una figura diventata emblematica perché non era un musulmano, era un prigioniero che aveva perduto ogni speranza, lasciava andare il fisico ed anche la testa, vagava per il campo, cascava per terra si appoggiava con le mani e sembrava un musulmano in preghiera. Questo è l’elemento più importante, la musica non ha salvato le persone, ha salvato le persone che sono rimaste in vita”. E ribadisce “Noi non riusciamo a capire perché ci fosse la musica che è bellezza dentro i campi, domanda che si sono fatti tutti. In realtà la grande bellezza della musica, come disse Thomas Mann, si era alleata con il grande diavolo, questo è quello che è avvenuto: la musica funzionale all’organizzazione della vita”.
Anche Marzia Luppi avvalora questi concetti ricordando come “...l’arte sia stata un l’elemento estremo di affermazione di una forma di dignità e di una forma di resistenza”, perché è stata un mezzo per mantenere uno spirito libero e creativo agli artisti internati e non solo. Per meglio raffigurare questo concetto cita la poesia dell’architetto Lodovico Belgioioso (uno degli artefici del Museo Monumento al Deportato di Carpi) scritta nel 1945 quando era internato a Mauthausen, dal titolo “Sono Felice: non mi avrete”: “Ho fame, non mi date da mangiare / Ho sete, non mi date da bere / Ho freddo, non mi date da vestire / Ho sonno, non mi lasciate dormire! / Sono stanco, mi fate lavorare / Sono sfinito, mi fate trascinare un compagno morto per i piedi, con le caviglie gonfie e la testa che sobbalza sulla terra con gli occhi spalancati... / Ma ho potuto pensare una casa in cima a uno scoglio sul mare proporzionata come un tempio antico/ Sono felice: non mi avrete”. Il prossimo appuntamento si terrà giovedì 20 gennaio con il Seminario di formazione on-line “Le Aporie della memoria” con Guri Schwarz e Filippo Focardi ed il ricco programma continuerà in un percorso molto vario e visitabile su info@fondazionefossoli.it