L'oro leggero delle belle monete di Mirandola
Allora, caro Alberto, scambiamoci spesso lettere, seguiamo la filosofia per accogliere i misteri divini e occupiamoci dei colloqui sacri coi quali ci prepariamo il sostegno per una vita beata. Ti aspetto per discutere di filosofia finalmente a viva voce, e non solo per lettera”: con queste parole, vergate in elegante latino in una lettera della metà di luglio del 1495, il signore della Mirandola, Gianfrancesco Pico, suggella l’amicizia con suo cugino, Alberto Pio, principe di Carpi. Una amicizia che durerà una vita e vedrà più volte il conte di Carpi prestare aiuto, alloggio e sostegno al signore di Mirandola. I due cugini (Alberto, figlio di Caterina Pico e Gianfrancesco figlio di Galeotto Pico, fratello di Caterina e di Giovanni Pico, il più celebre fra loro) attraversarono in parte sorti simili: il principe di Carpi dovette lottare a lungo con il cugino Giberto e con il duca di Ferrara per affermare i suoi diritti su Carpi, Gianfrancesco dovette fare altrettanto nei confronti del suo fratello minore, Ludovico, che riuscì in diverse occasioni a prevalere inviandolo all’esilio a Novi e a Carpi dove fu ospite di Alberto. I due cugini erano accomunati dall’amore per le belle lettere e ad entrambi l’imperatore di turno concesse anche di battere moneta. Ma, mentre Alberto Pio non si avvalse mai di questa facoltà, Gianfrancesco lo fece e ne abusò giungendo a screditarsi a livello internazionale. I numismatici conoscono bene la bellezza delle emissioni monetarie della Mirandola degli anni in cui fu sottoposta al governo di Gianfrancesco: monete d’oro di conio raffinato che sul dritto riproducevano il busto del signore e sull’altra faccia, per la prima volta assoluta, l’immagine di San Francesco.