Un episodio della biografia di don Ivo Silingardi: la rottura con l’onorevole Vittorino Carra

Una storia molto carpigiana

Il progetto del parlamentare Dc di una “città dei ragazzi” . Nacque così l’idea di un centro intitolato a John Fitzgerald Kennedy in via Peruzzi

Carpi – C’è un passaggio della biografia di don Ivo Silingardi, importante quanto poco esplorato, anche nelle ricostruzioni biografiche lette in questi giorni. È quello che vide coincidere l’avvio di una grande impresa – il  complesso immobiliare in fondo a viale Peruzzi –, con la fine del rapporto di amicizia che aveva sempre legato il sacerdote al parlamentare carpigiano della Democrazia cristiana, Vittorino Carra, di sette anni più giovane e considerato prima di allora da don Ivo una sorta di figlioccio.

Si tratta del centro “John Fitzgerald Kennedy” varato formalmente nel 1967, ma le cui basi erano state gettate fin dal 1964 con il suo primo presidente, l’industriale Renato Crotti. In quello scorcio del decennio, al traino di Mario Brani – imprenditore dell’abbigliamento vicino all’ala scelbiana della Dc – e dello stesso Carra, espressione invece della sinistra del partito, gli industriali carpigiani raggruppati nell’Aia, l’Associazione degli imprenditori dell’abbigliamento, decidevano di dar vita a un’operazione di carattere educativo nel nome del Presidente cattolico della “nuova frontiera” americana il cui messaggio e la cui tragica fine avevano tanto colpito l’immaginazione, soprattutto delle giovani generazioni. 

Rivolgendosi appunto ai giovani e ispirandosi ai “principi cristiani”, come recitava lo Statuto, l’Ente doveva proporsi “l’elevazione culturale e morale delle categorie operaie, studentesche, contadine e lavoratrici in genere”, favorendo “...iniziative particolarmente nei settori sociale, culturale, sportivo”. C’erano da combattere un po’ l’egemonia culturale del Pci sulle nuove generazioni e un po’ i fermenti ribellistici e contestatari che già si avvertivano nell’aria, come si capisce anche dalla relazione del Direttore dell’ente, premessa al bilancio del 1966: “Abbiamo bisogno di questa presenza giovanile – scriveva – per comprendere e giustificare certi atteggiamenti protestatari di oggi che suonano come una vibrante accusa alla nostra generazione e a quelle che ci hanno preceduti. Ma soprattutto, desideriamo avvicinare i giovani per comprenderne i problemi e dare a essi soluzione con la nostra collaborazione, illuminata da un’affettuosa comprensione”. L’area sulla quale si doveva realizzare il progetto, in fondo a viale Peruzzi, era quella che don Ivo aveva ottenuta dal sindaco Bruno Losi per il suo Istituto Nazareth in forte espansione: un terreno comunale ceduto a condizioni di straordinario favore. Lì, accanto alla sede dell’Istituto, avrebbero dovuto sorgere centri sociali, una mensa per i tanti lavoratori del tessile provenienti da fuori città, sale per iniziative culturali, palestra, piscina e campi da tennis. Una sorta di “città dei ragazzi” sul modello modenese, insomma: e che proprio ai ragazzi, suoi primi destinatari e utenti, nelle intenzioni di Carra avrebbe dovuto assegnare la gestione del grande complesso.

Ma non aveva ancora sancito la propria costituzione formale, l’Ente intitolato a Kennedy, che i suoi organi direttivi stipulavano nel 1965 un accordo con l’Istituto Nazareth che di fatto apriva la strada a una vera e propria annessione. Un simile sbocco era prefigurato anche nella clausola per la quale, in caso di suo scioglimento, tutti gli immobili edificati dal Kennedy su quel terreno sarebbero passati alla proprietà dell’Istituto guidato da don Ivo, senza esborsi. La cosa fu facilitata dal progressivo disamoramento degli imprenditori, defilatisi uno dopo l’altro dal progetto iniziale – troppo astratto e non di immediata reddività, per i loro gusti – del quale si finì per realizzare la sola palestra. Il Nazareth, al contrario, era basato non sulle astrattezze pedagogiche, ma da tempo nei binari ben più concreti della formazione professionale, degli aiuti delle aziende che usufruivano della manodopera che usciva dai suoi corsi e delle sovvenzioni governative. E fu pronto a prenderne di fatto l’eredità.

Questi sviluppi, che dissolsero definitivamente gli intenti pedagogici iniziali del Kennedy, riflettevano le divisioni interne alla Dc locale, nella quale l’ala cristiano sociale ispirata da Ermanno Gorrieri e rappresentata a Carpi dallo stesso Carra si contrapponeva a quella moderata, più sensibile ai temi dello sviluppo e alle esigenze delle imprese, impersonata da Mario Brani, unico imprenditore rimasto della cordata originaria e di fatto timoniere della rotta del Kennedy verso l’approdo dell’Istituto Nazareth.

Fu la frattura che si generò anche tra Vittorino Carra, l’uomo che più teneva alle finalità educative originarie, e don Ivo, che con il suo Istituto badava soprattutto a far sì che la preparazione al lavoro diretta ai giovani si incontrasse con le richieste di uno sviluppo, all’epoca ancora impetuoso e capace di attrarre forza lavoro in città. Dei due, il più “carpigiano” si rivelò lui.

Nelle foto, l'isolato del Centro John Fitzgerald Kennedy, oggi sede della Scuola alberghiera del Cfp Nazareno, Vittorino Carra negli anni Sessanta e in una delle ultime foto e l’imprenditore Mario Brani

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