Secondo l'Ispi riguarderebbe fra 600 mila e 1,2 milioni di persone

I numeri veri del contagio

Si spiegano così anche le strane differenze degli indici di letalità fra i diversi paesi

Perché si muore tanto in Italia, arrivando a un indice del 10 per cento circa, con la punta della Lombardia addirittura al 12,8 per cento? È un quesito al quale l’Ispi, l’Istituto per gli Studi di politica internazionale, ha cercato di rispondere, mettendolo in relazione con percentuali più basse, fra il 7,2 per cento della Spagna e il 4 dichiarato dalla Cina, e soprattutto con lo 0,5 di Germania e Austria. Come si spiega una simile differenza? Si sono scomodate la familiarità (nel senso di contiguità fra nonni, figli e nipoti) maggiore in Italia rispetto al resto d’Europa, una possibile mutazione genetica del virus a livello locale, le differenza di clima fra le varie regioni del mondo, eccetera. L’Ispi respinge queste varie ipotesi. E parte intanto da una distinzione tra letalità e mortalità: la prima essendo riferita al totale delle persone positive al Covid-19 e la seconda, invece, al totale della popolazione. Esempio: se in un Paese di 100 abitanti ci sono 10 contagiati e 5 morti, il tasso di letalità è del 50 per cento, ma quello di mortalità solo del 5. Restando al primo, cioè al tasso di letalità, bisogna ulteriormente distinguere fra quello “apparente” e quello “plausibile”. Nel corso di un’epidemia, precisa lo studio dell’Ispi, l’unico modo che abbiamo per capire chi sia contagiato è sottoporre una persona a un test, ed è naturale che non si testi l’intera popolazione di persone contagiate. Vi sono almeno due ragioni per cui ciò non avviene. Innanzitutto, può esistere una quota di popolazione asintomatica o poco sintomatica: in questo caso essa non chiede di sottoporsi a test perché non si accorge di essere malata o non ipotizza di aver contratto il Covid-19. In secondo luogo, in momenti di espansione dell’epidemia il numero di casi cresce in maniera talmente rapida che può risultare impossibile sottoporre a tampone persino il sottoinsieme di persone sintomatiche e che vorrebbero fare il test: si procede dunque per gravità, limitando i test ai casi via via più critici. Ecco perché esiste un tasso di letalità solo “apparente”: è quello che si basa su una porzione più o meno grande di contagiati. È anche il più facile e quello che ricorre in tutte le tabelle statistiche che si inseguono in questi giorni sui giornali e sui siti on line, stabilendo una media nazionale fra le quantità di tamponi applicati da ciascuna Regione. La letalità “plausibile”, invece, tenta di stimare anche il numero di contagiati totale e si trova davanti a un compito molto più difficile. In Cina, la stima di questo tasso di letalità su tutte le persone che potrebbero risultare positive al test Covid-19 oscilla tra lo 0,38 e l’1,33 per cento, ben lontana dal 4 del tasso di letalità apparente. L’Ispi ha provato ad applicare gli stessi criteri di stima usati per la Cina anche all’Italia, adattandoli ad alcune peculiarità nostrane, come una popolazione mediamente più anziana. Ne deriva che la letalità “plausibile” per l’Italia potrebbe aggirarsi intorno all’1,14 per cento, ovvero a metà strada tra il valore minimo di 0,51 e quello massimo di 1,78. A questo punto non resta che fare un ultimo calcolo, per arrivare a quanti potrebbero essere in Italia i contagiati dal virus. Basterà infatti dividere il tasso di letalità “apparente” (prendiamo per buono uno degli ultimi rilevati, intorno al 9,9 per cento) per quello “plausibile” (1,14 per cento), sottraendo i guariti, per ottenere il moltiplicatore (7,07) da applicare ai casi di contagio verificato (prendiamo a riferimento quello della Protezione Civile alla data del 28 marzo di 86 mila 498 contagiati). Ne deriva un dato – 611 mila 540 persone contagiate – che è solo stimato, che è passibile di oscillazioni anche di diverse migliaia, ma che dà pur sempre un’idea dell’ordine di grandezza. Lo stesso procedimento, applicato ai numeri dell’Emilia Romagna al 30 marzo, darebbe poco meno di 150 mila casi. In conclusione, sottolinea l’Ispi, il contagio è molto più diffuso di quanto non appaia o non ne siamo noi stessi consapevoli: e questo è brutto, perché significa che si è perso il contatto con le dimensioni reali dell’epidemia. Il virus, poi, non è più letale da noi che in altre parti del mondo, e questo è già meglio. Resta però ugualmente pericoloso, perché se la letalità si abbassa per l’estensione del calcolo dei contagiati, il trend dei decessi è lo stesso. E se si ipotizzasse un numero di contagiati ancora più alto, il doppio per esempio di quello stimato, arrivando a 1,2 milioni, rappresenterebbero solo il 2 per cento della popolazione italiana: troppo poco per garantire la famosa immunità di gregge che scatta quando intorno a una persona malata ve ne siano di immuni in numero tale da fare barriera.

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