Ospedali di Carpi e Mirandola: l'integrazione non riuscita impone altre scelte

Nei mesi caldi che accompagnarono il voto amministrativo del 2019, la questione era al centro del dibattito politico come “ospedale baricentrico” tra Carpi e Mirandola: idea respinta dal candidato Sindaco di Carpi e caldeggiata invece da tutta la Bassa, con la sponda delle liste civiche di Carpi, Novi e Mirandola. Quasi nessuno metteva in discussione l’esigenza di un nuovo ospedale: e nello stesso convegno convocato proprio dai “civici” nel novembre di quell’anno, il manager della sanità Joseph Polimeni, invitato dai promotori, concordò sul fatto che il futuro del sistema sanitario territoriale non può essere “solo” l’ospedale , ma è “anche” l’ospedale, definito da lui stesso “lo specchio dell’efficacia del territorio”. Il problema era semmai il dove  realizzare questo presidio di eccellenza ed efficacia per l’Area Nord, pur nel contesto di una rilevanza sempre maggiore da assegnare alla medicina territoriale, alla quale sono venute in soccorso anche le “missioni” del Pnrr che assegnano fondi consistenti per le Case della Salute o di Comunità. Nell’attesa, la questione è sempre rimasta nel perimetro assegnatole dal Pal, il Piano attuativo locale varato nel 2012 dalla Conferenza territoriale sociale e sanitaria: due strutture ospedaliere integrate, il Ramazzini di Carpi e il Santa Maria Bianca di Mirandola, il primo di area il secondo di prossimità, rispettivamente uno e due gradini sotto Policlinico e  Baggiovara. E giù, in questi anni, con fiumi di parole dedicate all’integrazione sanitaria (il software) tra le due strutture che, pur rimanendo fisicamente distinte (l’ hardware), l’Ausl e le istituzioni hanno sempre inteso rappresentare come una organizzazione in rete, un modello di sinergia tra ospedali basato su offerte di servizi e  percorsi condivisi. Il tutto, perfettamente in linea con l’idea di organizzare trasversalmente a tutta la provincia alcuni servizi aziendali (è il caso di Endocrinologia con Giampaolo Papi, Endoscopia digestiva, con Mauro Manno e Dialisi, con Decenzio Bonucchi) perché quel che conta, concetto caro ai vertici dell’Ausl e inoppugnabile, è garantire al cittadino la miglior risposta possibile, secondo le sue esigenze cliniche.
 

CARPI MIRANDOLA: L’INTEGRAZIONE PROBLEMATICA

Ne è derivato il modello – software, appunto – sul quale si basa oggi il rapporto tra il Ramazzini e il Santa Maria Bianca. Quello che prevede per esempio la “collaborazione funzionale” delle due strutture complesse di Ostetricia e Ginecologia, affidate a Giulia Pellizzari, a Carpi, e ad Alessandro Ferrari, a Mirandola, con i chirurghi ginecologici di Mirandola impegnati nelle strutture di Carpi per i pazienti di tutto il territorio. O ancora con la Pneumologia basata a Mirandola e alla quale vengono indirizzati anche i pazienti di Carpi. E “respiro di Area Nord” – nel senso di specializzazioni condivise a scavalco tra i due nosocomi – hanno preso anche l’Anestesia e Rianimazione, con Alessandro Pignatti, l’Urologia, con Fabio Manferrari, la Medicina riabilitativa, per ora affidata a Fabio Gilioli e in attesa di concorso dopo il ritiro di Luciano Mazzoleni, la Pediatria, con Francesco Torcetta e l’Oncologia con il day hospital diretto da Paola Nasuti, afferente alla struttura complessa di Area Nord di Fabrizio Artioli. Al software condiviso, poi, Mirandola affianca in totale autonomia, il Pronto Soccorso, l’Ortopedia e Traumatologia, la Radiologia e la Cardiologia oltre ad altri servizi come la Chirurgia generale, il Laboratorio di patologia clinica e citopatologia la Medicina Interna, per un totale di 22 fra ambulatori servizi e unità, contro le 26 di Carpi: non una grande differenza. Il punto è: funziona ancora questo modello di integrazione con larghe aree di autonomia, giusto e razionale in sé, ma basato pur sempre su due strutture diverse, poste a 27 chilometri di distanza neanche così facilmente percorribili? Regge ancora di fronte alla drammatica difficoltà di reperire personale medico e paramedico che obbliga a ridimensionamenti dei servizi o al superlavoro il personale che c’è? Fino all’arruolamento di cooperative di medici esterni i cui compensi umiliano quelli del personale in organico, aprendo agli specializzandi orizzonti professionali che li allontanano dal Servizio sanitario pubblico? Se si sta al grado di insoddisfazione più o meno apertamente manifestato soprattutto dal personale medico, si direbbe decisamente di no. L’orientamento a lavorare stabilmente presso una struttura unica, certo inferiore a Policlinico Ospedali di Carpi e Mirandola: l’integrazione alla sfida delle nuove realtà. La difficoltà di reperire personale e il progetto del nuovo ospedale inducono a superare il dualismo concentrando le risorse sul Ramazzini. Lasciando a Mirandola davvero un ruolo di presidio, come del resto fissato dal Pal. E mai messo in pratica e Baggiovara, ma con punti di eccellenza tecnologica, casistiche cliniche statisticamente rilevanti e ampia dotazione di personale, il tutto permesso dalla concentrazione in un unico polo, è quello che si direbbe prevalente. Soprattutto alla luce dell’altra variabile emersa in questi anni: la prospettiva del nuovo ospedale di Carpi che, agitata per un quindicennio come fattore propagandistico, negli ultimi tre anni ha cominciato a toccar terra, con un primo progetto tecnicosanitario, la disponibilità di una prima tranche finanziaria di 120 milioni, una variante urbanistica che ha permesso di avviare le pratiche di esproprio dei terreni. 
 

L’ALTRO MODELLO: UN HUB A CARPI PRESIDIO A MIRANDOLA

Paradossalmente, il primo a porre l’accento sulla questione, fin dal luglio 2019 e in aperta polemica con la Conferenza territoriale sociale e sanitaria, è stato il Sindaco di Mirandola, Alberto Greco: “Con il nuovo ospedale di Carpi – dichiarò allora – Mirandola è condannata a un ospedale di prossimità”. Come dire: più ancora nei fatti, che nelle definizioni del Pal. Il che farebbe del nosocomio mirandolese, secondo quanto previsto dal piano sociale e sanitario della Regione, una struttura intermedia tra l’assistenza domiciliare e il ricovero ospedaliero, soprattutto pensando alle cronicità, con meno diagnostica e più assistenza, meno specialistica e più infermieristica. Oggi, visto quanto sta accadendo nel mondo della medicina, delle sue difficoltà a riempire i ranghi vuoti, del baricentro sempre più spostato sulla medicina territoriale per dare luogo a pochi ma efficienti presidi ospedalieri e prendendo atto che le prospettive del nuovo Ramazzini stanno uscendo dalle nebbie, ecco, considerando tutto questo, quello che allora pareva un esorcismo da parte del sindaco Greco potrebbe invece tradursi in una precisa indicazione di revisione del piano regolatore della sanità dell’Area Nord: un hub di area importante a Carpi, un ospedale di prossimità a Mirandola, una rete di Case della Salute e poi telemedicina, assistenza domiciliare e rafforzamento dei medici di base. Tutto, a cominciare dalle logiche di campanile, per continuare con la viabilità problematica del territorio e per finire alla divaricazione ideologica esistente tra Mirandola e Carpi, va contro questa soluzione. Ma nella situazione attuale si direbbe la più logica: il che non è sempre garanzia di fattibilità.