La cima del monte Santa Giulia in quel di Monchio da milleduecento anni luogo di riti e culti

I segreti della spada del guerriero

Il racconto del ricercatore carpigiano, Ispettore onorario della Soprintendenza ai Beni archeologici su scavi partiti negli anni Cinquanta con la scoperta di una spada risalente a dodici secoli prima di Cristo. E che continuano a riservare sorprese

di Antenore Manicardi* 

L'annuale campagna di scavo del Museo Civico Archeologico di Modena diretta da Andrea Cardarelli insieme alla Soprintendenza archeologica dell’Emilia Romagna ci riporta sulla cima del monte Santa Giulia, a Monchio in comune di Palagano, ove sorge la “Pieve dei Monti”. La chiesa risalente all’XI secolo, costruita per volere della contessa Matilde di Canossa domina da un’altezza di 935 metri le vallate dei torrenti Dolo, Dragone e Rossenna, confluenti più a valle nel Secchia.

L’edificio di impianto romanico è all’interno del Parco della Resistenza del Monte Santa Giulia che si estende per oltre 28 ettari. In questo contesto di straordinaria bellezza naturale e paesaggistica è stato allestito negli anni Settanta, in un pianoro sottostante, un imponente complesso scultoreo a ricordarci l’eccidio di Monchio, una delle terribili stragi nazifasciste dell’ultimo conflitto. Le importanti scoperte dell’ultima campagna di scavi confermano il sito come “luogo di culto su sommità” in cui riti e pratiche religiose sono continuate ininterrotte dalla preistoria ai giorni nostri. 

Non v’è dubbio: è uno dei luoghi dell’anima del nostro Appennino. 

Le prime ricerche ebbero inizio negli anni Cinquanta del secolo scorso, durante i lavori di ricostruzione della Pieve completamente distrutta durante l’ultimo conflitto, perché utilizzata dai partigiani come base e deposito di armi e munizioni. Emerse tra le macerie sotto l’altare uno strato archeologico con reperti ceramici e una spada di bronzo attribuibile al dodicesimo secolo prima di Cristo, oggetti ora conservati presso il Museo archeologico di Modena.

Con il ricordo sempre vivo di quel rinvenimento, nel 2005 si avvia un piccolo saggio all’esterno della chiesa. Alla profondità di un metro emergono di nuovo tracce di frequentazione svelando finalmente il rebus della presenza della spada in quel contesto. (Sulle cime dei monti o nei fiumi nell’Età del Bronzo era in effetti consuetudine offrire alle divinità oggetti di particolare importanza, armi e soprattutto spade). Quel tardo pomeriggio di fine novembre una forte nevicata ci sorprende e solo il ritorno verso valle ci riporta alla realtà, dopo che per qualche istante, nel silenzio assordante della neve che cade nel bosco ci è parso di sentire le voci e l’eco di quegli antichi riti. 

Quel saggio riprenderà e terminerà a fine giugno 2006, confermando la presenza di un lembo residuo del deposito archeologico nella parte esterna dell’abside maggiore della chiesa, ma che purtroppo continuava sotto le fondazioni delle mura stesse, impedendo ogni ulteriore ricerca. 

Negli anni a seguire movimenti tellurici, fenomeni di subsidenza e l’instabilità dei versanti causano gravi danni all’abside con conseguente chiusura dell’edificio. Questi sfortunati eventi subiti dalla chiesa imporranno però un intervento di ristrutturazione radicale a partire dalle fondamenta. Ed è proprio questo che ci ha permesso nell’estate del 2015 di indagare finalmente all’interno della chiesa, proprio nella zona dell’altare, dove negli anni Cinquanta era stata rinvenuta la spada. Il lembo precedentemente scoperto prosegue all’interno: lo scavo mette in luce una buca intenzionalmente preparata di forma ovale e dalle dimensioni di almeno tre metri per cinque. L’intatta sequenza stratigrafica contiene una notevole quantità di sassi arrotondati di fiume, portati dall’alveo dei torrenti sottostanti e una grande quantità di carboni con tronchi anche di grosse dimensioni non ancora completamente bruciati. La presenza di un rogo rituale è ulteriormente confermata da resti di ossa di animali (pasto o sacrificio offerto) e abbondanti frammenti di ceramiche, fra le quali si distinguono grandi contenitori di liquidi schiacciati intenzionalmente nella fase finale del rogo. I diversi campioni raccolti, sia nel contenuto dei vasi che nel riempimento stesso della buca sono ora allo studio nell’Istituto di Scienze botaniche. Grande è l’attesa per i risultati che ci documenteranno i cibi e le bevande usate durante il rito, nonché l’ambiente antropico e naturale intorno al sito. 

Le emozioni però non sono finite. Da una seconda buca, scavata in parte nella prima  emerge una fibula in bronzo (grande spilla decorata per trattenere il mantello) databile al sesto secolo prima di Cristo. Genti di cultura etrusca dopo circa cinquecento anni rinnovano ancora l’antico rito di tipo cultuale. Nelle arcaiche comunità a base eroica e guerriera si può collegare questo straordinario e per ora solitario ritrovamento, abbastanza attestato in area alpina, ma assente fino a oggi nelle nostre montagne. A queste cerimonie, ai riti e alle leggende dei popoli del nord, si collega la saga di Re Artù e della magica spada Excalibur.

Per millenni hanno frequentato lo stesso luogo “naturalmente sacro” le comunità di diverse culture, ognuna con offerte e riti specifici. Prima i popoli delle Terramare che onoravano il “grande sole sul carro infuocato” poile genti Etrusche coni culti alla Vei, divinità femminile della fecondità, della vita e dei suoli o al dio Rat musico e profeta, fino alle divinità agresti romane e infine alla Chiesa cristiana. 

*Appassionato da una vita di Archeologia e Storia, Ispettore onorario per l’Archeologia del Ministero dei Beni culturali, collabora con i Musei civici di Carpi, il Museo archeologico etnologico di Modena, ha partecipato a diverse campagne di scavo nelle nostre province, in Grecia e in Francia e alla costruzione del Parco Archeologico di Montale.

Nelle foto, la Pieve dei Monti, la spada di 1.200 anni fa e i recenti scavi fuori e dentro l’abside della chiesa e il monumento che ricorda la strage di Monchio

 
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