A chi le spese di gestione di San Nicolò dopo il restauro? Si profila un braccio di ferro tra Curia e Comune

"E allora ne facciamo un museo”. Stando ai sussurri provenienti dagli uffici comunali, pare sia stata questa la reazione dell'Amministrazione comunale alla richiesta della Curia che sia il Comune, che ne detiene la proprietà, ad assumersi le spese di gestione del Tempio di San Nicolò, la cui riapertura è stata annunciata per il prossimo mese di settembre. I lavori di restauro e consolidamento sismico affidati alla Mulinari Costruzioni Generali, ditta mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese, durati 42 mesi per un costo che alla fine dovrebbe aggirarsi intono ai 3,5 milioni di euro, restituiranno alla città la sua chiesa più bella e carica di storia. Senza però il presidio dei frati dell'ordine dei Minori Osservanti che per cinque secoli se ne sono presi cura, oltre a rappresentare un riferimento spirituale per i fedeli. segue

 

Alla scadenza di settembre, la Curia diocesana arriva gravata da pesanti incombenze in campo immobiliare: ci sono proprietà delle parrocchie bisognose di interventi, altre restaurate ma non più utilizzate a causa del declino delle funzioni parrocchiali; c'è il Seminario che si sta svuotando e al quale occorre trovare una nuova funzione; ci sarebbe l'ambizione di acquisire l'ex monastero delle Cappuccine, e così via. Insomma, non ci sono disponibilità per affrontare spese come quelle che comportano l'apertura e la chiusura di San Nicolò, la sua manutenzione quotidiana, le pulizie, il riscaldamento. Tutt'al più, ragionano gli uffici diocesani, ci si può fare carico della gestione del culto, questo sì, distaccando un sacerdote per mantenere alla chiesa la funzione di seconda parrocchia del centro, dopo quella della Cattedrale, aggregandovi i fedeli della chiesa di San Francesco, il cui restauro sta muovendo solo in questi mesi i primi passi.

 

 

La Diocesi può contare su un solido argomento: la proprietà del complesso monumentale di San Nicolò, con annesso convento ora deserto, comporta il diritto di fruire dei legati testamentari, vale a dire dei diritti patrimoniali che nel corso degli anni sono stati rilasciati dai fedeli a beneficio proprio della gestione della chiesa. E il Comune, che li ha ricevuti finora anche a chiesa non funzionante, non può esimersi dall'assumersi, oltre ai benefici, anche i costi per i quali sono stati concessi. Il ragionamento non fa una grinza, se non fosse che l'Amministrazione a propria volta non dispone certo delle risorse per condurre a un immobile così oneroso, per di più per scopi – la continuità del culto – che non rientrano certo nei suoi compiti istituzionali. Da qui la risposta, un tantino secca: non volete assumervi gli oneri di gestione? E allora tanto vale che se ne faccia un istituto culturale pubblico che almeno potrà rientrare a tutti gli effetti nelle spese correnti del bilancio comunale, bilanciate anche da entrate, come i biglietti d'ingresso e le sponsorizzazioni, ma soprattutto dalla possibilità di rientrare nei bandi regionali che finanziano la gestione di musei, biblioteche e altre istituzioni culturali pubbliche. Quanto al convento, con tutta la fame che c'è di affitti, non dovrebbe essere difficile per il Comune ricevere contributi per arricchire la propria offerta di residenza sociale. Sarà questo il punto d'arrivo? Ma la Diocesi sarà disposta a cancellare di fatto la vita parrocchiale di San Nicolò, con San Francesco nelle condizioni attuali? Al momento la situazione di stallo lascia prevedere che, come si provvederà a riaprire la chiesa alla città per l'aspettativa che si è creata e come polo di attrazione turistica, si profili subito dopo il rischio di una nuova chiusura.