Chiara Lodi, dagli scout a operatrice di Medici senza Frontiere: testimonianza dalle tragedie del mondo

Valigia sempre pronta. Poca roba ma indispensabile, sapone e shampoo, spazzolino e dentifricio, formaggio grana e prosciutto, pochi capi d’abbigliamento ma tantissimi calzini, la sua professionalità e un grande cuore. Tutto in quindici chilogrammi di bagaglio. Destinazione? Non si sa, lo saprà solo una settimana prima di partire. Di chi si sta parlando? Della carpigiana Chiara Lodi operatrice umanitaria di Medici Senza Frontiere, l’organizzazione internazionale nata a Parigi nel 1971 e con sedi a Ginevra, Bruxelles, Barcellona, Amsterdam, con lo scopo d’intervenire rapidamente in tutte le emergenze umanitarie. Classe 1983, sguardo intenso in cui calarsi per incontrare la sua grande personalità, per Chiara Lodi tutto ha inizio inconsapevolmente da ragazzina, fra i boy scout ed ora afferma: “Quello che accomuna tantissimo le missioni e gli scout è la comunità, il vivere insieme e il condividere tutto, dai bagni al cibo. La missione è la stessa cosa se non c’è gruppo e non c’è condivisione è una missione che non funziona”.

Laureata in scienze infermieristiche, dopo una breve esperienza in un poliambulatorio locale parte per un anno come volontaria nell’ospedale Mary Helz of Africa di Fontem in Camerun. In seguito si trasferisce in Inghilterra per lavorare nell’ospedale di Birmingham ed in quello di Exeter, continuando negli studi e ottenendo un diploma di Medicina Tropicale e due master in Infermeria d’urgenza. Grazie a queste esperienze professionali, entra a far parte di Emergency, l’organizzazione italiana fondata da Gino Strada. Prosegue gli studi all’Università di Tel Aviv dove consegue la specializzazione di Gestione delle casualità di massa oltre a corsi sulla Gestione dei traumi di guerra e parte, nel 2012, per la prima missione in Iraq. “C’erano cinquantasei gradi all’ombra – ricorda –. Oltre alla clinica fissa, avevamo cliniche mobili che giravano in varie città, reclutavamo personale che andava nei campi profughi per fare promozione della salute e fatto un sacco di corsi sia a personale locale che alla popolazione”. In seguito parte per l’Afghanistan, una delle sue più belle missioni, prima a Lashkargah nell’ospedale con il più alto numero di feriti di guerra al mondo dove ogni giorno arrivavano una media di trecentocinquanta pazienti con ferite da proiettili o colpite da esplosioni di mine. Poi viene trasferita a Kabul dove, una-due volte la settimana, c’erano emergenze con un centinaio di pazienti in un colpo solo a causa di lanci di bombe: questo è la Casualità di massa che Chiara spiega così: “Quando scatta questa emergenza si cambia immediatamente modo di lavorare, ognuno sa quello che deve fare e per me questo è molto affascinante, come coordinatrice del pronto soccorso, valutavo i pazienti, smistandoli a seconda della gravità e imparando anche un poco di afghano. Qui ho appreso tantissimo”. Nel 2017 ultima missione con Emergency nella Repubblica Centrafricana per poi entrare stabilmente in Medici Senza Frontiere ripartendo di nuovo per la Repubblica Centrafricana nello sperduto villaggio di Bambari. Nel 2019 si inserisce nel Team d’Emergenza di MSF che vuol dire fare di tutto dallo scaricare il camion come a parlare con il ministro della sanità e parte per lo Yemen. Qui lavora, in un caldo atroce, come unica infermiera di un ospedale con trecentocinquanta letti che gestiva insieme ad una dottoressa, si ammala di febbre toracica, perde quindici chili ma la definisce “una delle sue più belle missioni”. Cosa intende con questa affermazione Lodi? “Una missione è bella se il team è bello, è coeso e si crea la famiglia. Oltre ad imparare sempre cose nuove, capisci di aver fatto la differenza perché hai insegnato alle persone, hai messo in piedi dei sistemi a lungo termine e, una volta avviati, il personale cambia il modo di lavorare e questo vuol dire salvare sempre più pazienti”. Nel 2020, Chiara atterra nella missione in Congo e successivamente va in Palestina per continuare gli studi.

Nel luglio 2021 arriva la missione in Etiopia, come responsabile dell’ospedale di Adigrat nel Tigray e di due cliniche mobili come coordinatrice della parte medica: per questo MSF riceve una targa di Riconoscimento per il supporto dato. Purtroppo uccidono tre medici, la missione termina e lei si occupa, insieme ad altre quattro persone di chiudere tutto nel giro di una settimana. Ma perché è successo questo? “La cosa più importante delle organizzazioni internazionali è l’accettazione – spiega Chiara –: noi siamo istruiti e facciamo dei training per sapere cosa dire e quando dire a seconda del proprio ruolo. Tutto dipende da quanto sei imparziale con tutti e la forza dei MSF è proprio quella di curare quelli dell'una e dell'altra barricata, ma qui abbiamo sbagliato curando, involontariamente, più una fazione di un’altra e, quando vai su questo trend, ci sono delle strategie per recuperare, ma ce ne siamo accorti tardi. Di norma siamo una risorsa nel senso che quando MSF lavora in un posto è perché i sistemi sanitario e statale sono al collasso e quindi noi andiamo a dare supporto. E' per questo che in genere siamo ben visti”. Poco dopo il suo rientro, parte per il Congo da dove è rientrata nel dicembre scorso. Le missioni si trovano sempre in luoghi dove c’è un’emergenza, ma si dividono in due tipologie, quelle di urgenza con dinamiche molto veloci che puntano sul “ti risolvo il problema adesso” e sono quelle che fa Chiara che interviene nei primi tre mesi. Poi subentra un altro operatore che rimane per circa un anno: la missione diventa regolare e tutto il sistema si consolida, puntando sull’implementazione a lungo termine. “Quando parti per una missione d’emergenza– sostiene Chiara – hai già il pensiero di come farla diventare regolare. Ho potuto entrare nel team d’emergenza perché, con tante missioni sulle spalle, riesco a capire come funziona più o meno in una settimana, ho dei ritmi di lavoro di circa sedici ore al giorno perciò posso farlo solo per tre mesi”. Ma che cosa spinge Chiara Lodi a fare tutto ciò? E' solo una questione di stipendio? “La politica dei MSF è quella di darti uno stipendio normale perché deve essere una tua scelta quella di volere fare questo mestiere con tutte le cose che comporta, come passare tanto tempo lontano dalla tua famiglia in condizioni di vita che non sono normali. Anche se quello che facciamo è in funzione dei pazienti, non è solo curare loro ma è prendersi cura di chi c’è con te. In missione siamo in tanti ma siamo tutte persone sole così, se uno sta male, fai come la mammina, ti prendi cura di lui e alla fine diventi famiglia e questa è una delle cose che mi spinge a continuare a fare il mio lavoro perché io sento che qui da noi abbiamo perso tantissimo e con il Covid ancora di più. Ci siamo scordati cosa vuol dire il senso di cura dell’altro e della comunità mentre là è diverso quindi è una cosa che mi riempie tanto ed è uno stimolo per ripartire. È vero che tutte le volte ricominci da capo e devi rifarti scoprire e spiegare le stesse cose ma mi piace, conosci persone da tutte le parti del mondo con la tua stessa passione. Perché alla fine, non è solo un lavoro”. (nelle foto, Chiara Lodi è ritratta con una clinica mobile in Iraq, in un ospedale a Kabul, mentre viene premiata con un'onorificenza per il lavoro svolto nel Tigrai e durante lo smatellamento dell'ospedale di Medici senza Frontiere in Etiopia)