Il piccolo imprenditore e la lettera del dipendente no Green Pass: lui sta a casa, ma io che faccio?

“E' un programmatore, con un'esperienza di 30 anni alle spalle. In vista dell'entrata in vigore del Green Pass mi ha mandato una lettera con la quale spiega i motivi per cui da domani starà a casa, non essendosi vaccinato e non avendo alcuna intenzione di farlo. Non ha e non avrà mai, dunque, il Green Pass e neppure accetta di sottoporsi al tampone. Ora, dal suo lavoro dipende quello di altre nove persone e lui domani e nei prossimi giorni non ci sarà. Mi spiegate voi come posso sostituirlo in un batter d'occhio? Mi dite che cosa posso fare?”. La drammatica richiesta proviene da una piccola azienda tessile del territorio. E la lettera del dipendente in effetti non lascia dubbi. Si appella a un "più ampio quadro storico” nel quale a suo parere andrebbero considerati vaccini, Green Pass ed emergenza climatica che, sostiene, non sono solo problematiche odierne. Ribadisce di aver tratto le proprie convinzioni da un “percorso di informazione, di confronto con personaggi illustri, tra medici, avvocati e pazienti”. Informa che non farà il Green Pass, né vaccinandosi né sottoponendosi a tampone, definendo il passaporto verde una misura "illegittima e illegale” perché viola la Costituzione, il Regolamento Ue e l'articolo 3 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea. Sottolinea che il datore di lavoro che impedisca al dipendente di accedere al posto di lavoro commette reato di violenza privata (con tanto di citazione dell'articolo 610 del Codice penale). E, dopo aver affermato che “siamo in una dittatura (tutto a lettere maiuscole)”, rende noto che il 15 ottobre la sua forma di protesta sarà quella di non aderire al Green Pass e quindi di non venire al lavoro, accettando la sospensione della retribuzione – il che non porta comunque alcun vantaggio all'azienda, della quale resta comunque dipendente con relativi oneri – e informando che aderirà allo sciopero generale Fisi proclamato dal 15 al 20 ottobre.

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Il caso merita attenzione, perché davvero esemplare. Ci sarebbe intanto da sollevare qualche sospetto su una lettera che sa molto di messaggio prestampato e standardizzato. E anche sul sindacato Fisi (Federazione italiana sindacati intercategoriali) al quale si fa riferimento, che ha sede a Eboli (Salerno), ha come motto latino un intraducibile Asdeque Ispitur Agit, seguito da "Nemo enim ipsam voluptatem quia voluptas sit aspernatur aut odit aut fugit” che significa più o meno che “...nessuno infatti disprezza né odia né evita il piacere, perché è il piacere stesso”. Ma tutto questo non sposta la sostanza del problema. Verrebbe solo da chiedere al dipendente in questione, che mette in difficoltà un'intera azienda, se si sentisse meno in regime dittatoriale quando la stessa azienda era stata costretta a chiudere per il lockdown, prospettiva per niente da escludere se ragionamenti come il suo dovessero diventare prevalenti. Quanto al “che fare?” dell'imprenditore, non potendo ovviamente chiudere il dipendente in una cabina di plexiglas senza possibilità di scambio se non in forma telematica, verrebbe da fargli presente l'eterna, italica tendenza a irrigidire sì le regole, salvo attenuarle nei comportamenti, per cui molti fingeranno di rispettarle e lo Stato fingerà di fare controlli. Sempre che il Covid non torni poi a ricordarci che una quarta o quinta ondata è sempre possibile e, con essa, il ritorno della dittatura, quella vera. Quella che, imponendo la chiusura, getta nella disperazione le famiglie e le aziende, riproponendo per il Paese uno scenario di anni di recessione.