In una ricerca di Fabio Montella le storie strazianti di bambini ebrei nati a Carpi e deportati

Tra le vicende più strazianti dei 250 ebrei di nazionalità straniera vissuti in provincia di Modena tra il 1941 e il 1943, raccontate dallo storico Fabio Montella in una sua ricerca che verrà presentata a Modena l'1 febbraio alle 18 alla Sala Manifattura del San Filippo Neri (via Sant'Orsola, 58) per iniziativa dell'Istituto storico di Modena e del Comitato per la storia del Novecento, c’è anche quella del piccolo Richard Silberstein, nato a Carpi durante la permanenza dei suoi genitori nel campo di smistamento di Fossoli, e ucciso all’arrivo ad Auschwitz quando non aveva ancora compiuto due mesi di vita. Un altro bambino nato in città da genitori ebrei stranieri e di nome Aronne Labi, fu deportato a pochi mesi di età, ma riuscì a sopravvivere, come i piccoli Leone Felice Buaon, di San Felice s/P e Liliana Reginiano, di Cavezzo.


 

Queste e altre storie scovate da Montella fra documenti in buona parte inediti approderanno a una pubblicazione realizzata dall’Istituto Storico di Modena con il sostegno dell’Università della Libera Età “Bruno Andreolli” di Mirandola, di Avis Mirandola e della famiglia Broggi-Borghi di Varese. «Gli ebrei che vissero a Modena e in una ventina di altri Comuni della provincia – spiega lo stesso Montella – erano donne, uomini, bambini e anziani, in fuga dalle persecuzioni hitleriane. Molti di loro vivevano già prima della guerra o si riversarono dopo l’inizio delle ostilità in territori occupati o controllati dall’Italia, come la Dalmazia, l’Albania, il Dodecaneso e la Libia». Dopo l’8 settembre 1943 anche per gli ebrei stranieri, come per i circa 500 ebrei italiani che all’epoca vivevano nella nostra provincia (soprattutto a Modena, Carpi e Finale Emilia), si aprirono i giorni più bui. La persecuzione nazifascista rese anche Modena un rifugio precario, dal quale divenne sempre più urgente fuggire. «Molti di loro – riprende Montella – ci riuscirono, grazie alla complicità di tanti modenesi (cittadini comuni, sacerdoti, partigiani, funzionari dello Stato…); altri (circa 50) furono invece arrestati e condotti nel campo di concentramento di Fossoli. Da lì, si aprì per loro e per i tanti altri ebrei internati nel campo di transito, l’inferno dei lager nazisti, dal quale solo una parte sarebbe tornata a guerra finita».

 

La ricerca dell’Istituto Storico sta riportando alla luce le storie individuali e famigliari degli ebrei di nazionalità straniera che riuscirono a fuggire grazie all’impegno di singoli e di diverse “reti” di solidarietà, ma anche le storie di chi venne deportato nei campi nazisti. Un'altra storia straziante trovata dallo studioso, oltre a quelle cui si è accennato, riguarda la famiglia Berger: padre, madre e tre figli morti nello stesso campo di sterminio nazista. Il capofamiglia, Alberto Berger, prima della guerra direttore di una fiorente attività industriale, aveva vissuto come «internato libero» a Modena e Castelfranco Emilia oltre due anni, tra il 1941 e il 1943. (foto di repertorio)