La piazza armoniosa ma legata anche a un tragico ricordo: Liliana Cavani si racconta nel documentario sui 50 anni di ''Portiere di notte''

«La piazza Martiri l'ha scelta lei, come sfondo per l'intervista che doveva essere girata in una stanza. Ma Carpi dov'è? mi ha chiesto: questa intervista va fatta in piazza Martiri, a Carpi. E che cosa faccio, mi oppongo a una maestra del cinema?». Ha detto proprio così, Adolfo Conti, regista del documentario "Il portiere della notte” prodotto per i cinquant'anni del "Portiere di notte” di Liliana Cavani dalla Doc Art di Roma in coproduzione con la parigina Goyave e con la collaborazione di Rai Documentari e Arte, la tv culturale franco tedesca. Le riprese con la regista carpigiana al centro della piazza e nel vicino caffè Retro sono iniziate proprio oggi e in occasione del primo ciak Cavani non si è sottratta ai taccuini dei cronisti e ai microfoni delle troupe televisive convenute in città per l'occasione.

«I miei ricordi si legano a quel giorno – ha raccontato –, quando, bambina, abitavo in corso Fanti e vidi tutta quella gente che correva verso la piazza, alcuni provenienti dalla campagna che lasciavano le biciclette in deposito a porta Mantova. Uscimmo tutti, spinti dalla curiosità. E non dimenticherò mai quell'assembramento di folla al centro, le urla e i pianti delle donne, il mucchio di cadaveri e il sangue rappreso. Quando ho girato "I Cannibali” con i morti sparsi per le strade, mi sono ispirata a quell'immagine drammatica». Già, la piazza: sembrava gustarsela con gli occhi mentre andava a quelle memorie d'infanzia, ma anche apprezzandola per le sue linee, le sue proporzioni armoniose: «In fondo – diceva – il Rinascimento è nato in posti come questo, dove si colgono la misura e le proporzioni, con quei palazzi allineati di fronte al castello. Per me è una bellezza, perché si vedono un disegno, un'armonia e una cura estetica ai quali hanno lavorato in tanti. E poi qui c'era una corte, un principe come Alberto Pio e qui è nata la stampa con Aldo Manuzio: Carpi era anche un centro intellettuale, mica un paese di citrulli disperso nell'immensità della pianura». Ma i ricordi legati alla guerra sono anche all'origine di "Portiere di notte”, da cui il documentario in lavorazione, echeggia ma non ricalca esattamente il titolo: «Abbiamo scelto "della notte” – ha spiegato Conti – perché Max, il protagonista del film, qui assurge a portiere della notte che ha offuscato la civiltà nel Novecento, quel nazismo di violenza e persecuzione di cui nel film è complice. "Voglio vivere come una talpa, voglio vivere nel buio”, dice. Poi arriva Lucia ebrea deportata con cui nasce un rapporto di sopraffazione prima di evolvere in sentimento per una storia coinvolgente che gli farà rivivere quella passione anni dopo, quando ritroverà Lucia ormai sposata e rientrata nella vita normale. Liliana – ha detto ancora Conti – ha definito il suo film "una storia d'amore” e noi nel documentario, che si avvale anche della testimonianza di Charlotte Rampling, Lucia, raccontiamo come la vita di Liliana si innesti nella sceneggiatura, mostriamo il set durante la lavorazione e spieghiamo anche il dopo, lo scandalo sollevato nel 1974 alla comparsa della pellicola, la censura e i sequestri, la solidarietà di Fellini, Visconti e altri cineasti. Perché questo è un film che ha mantenuto la sua carica nel tempo e si può davvero definire un classico». E lei, Liliana Cavani: «Ci ho riversato dentro tutto quello che avevo fatto prima per la Rai, con il mio documentario sul Terzo Reich e la mole di materiali che avevo potuto visionare, perché tedeschi, russi e americani filmavano tutto: ho passato in rassegna riprese effettuate in una ventina di lager e ne sono rimasta molto impressionata. E poi ho girato "La donna nella Resistenza” dove ho potuto capire che non facevano solo le staffette, ma avevano partecipato anche ai combattimenti, come a porta Lame, a Bologna: donne intelligenti e coraggiose. Mi hanno molto colpito le testimonianze di una ex deportata a Dachau, piemontese, che ogni estate ci tornava perché convinta che quella tragedia fosse stata la sua educazione; e una reduce da Auschwitz, molto trattenuta nel parlare, che non si perdonava di essere sopravvissuta, poi ho capito che era perché aveva rubato una gamella di cibo a una più debole di lei. Il "Portiere” è nato da queste impressioni e da questi racconti, c'è un momento in cui l'umanità diventa disumana e il progresso viene relegato alla sfera del tecnico, apparendo piuttosto un regresso. Mi stupisco – ha sottolineato – che nelle nostre scuole, anziché la storia antica, non vengano mostrati questi materiali e raccontate queste storie. C'è tutto, alla Rai e sono dei coglioni, quelli che dovrebbero incaricarsene e non lo fanno. Così la storia finisce invece per non insegnare nulla, mentre dovrebbe diventare la cosa principale da insegnare, se si vogliono creare dei cittadini. Gli uomini, abbiamo visto, possono diventare diabolici. E anche il menefreghismo è diabolico».

 

Il documentario in lavorazione avrà la durata di 60 minuti, andrà in onda sulla Rai in autunno e sarà distribuito anche in Francia e Germania. «La storia di Liliana Cavani nasce a Carpi – ha precisato ancora Conti – e l'Amministrazione comunale ha sposato subito il progetto, fornendo tutti i supporti logistici necessari». E Alberto Bellelli ha approvato: «Faremo di Liliana la prima promotrice dell'immagine della città», ha detto scherzosamente. Determinante è stato il sostegno finanziario di Emilia-Romagna Film Commission il cui responsabile, Fabio Abagnato, ha spiegato come le produzioni cinematografiche ambientate in regione servano molti di più dei messaggi pubblicitari affidati a spot e inserzioni. «Del resto ­ ha sottolineato ancora Cavani – che cosa sarebbe stato il cinema italiano, senza i registi emiliano-romagnoli?». O ci siamo scordati di Antonioni, Avati, Bellocchio, Bertolucci, Fellini?

FONTE: Ph. Giulia Mantovani