Primarie Pd: la cerchia degli iscritti sconfitta dall'elettorato che volto non ha

Scrive il Corriere della Sera, a proposito di Stefano Bonaccini: “La sua era la rincorsa perfetta alla segreteria. Aveva aspettato e aveva deciso di non dare l'assalto a Zingaretti. Poi ha desistito ancora, lasciando campo libero a Enrico Letta. E ora era sicuro fosse giunto il suo momento. Alla fine ha compreso che non era ora nemmeno questa volta. E forse non lo sarà mai più”. Come, tolta la parentesi di Pierluigi Bersani, non è mai stato facile, per un dirigente emiliano – Elly Schlein lo è di residenza e ruolo istituzionale, ma ha una storia tutta sua – essere scelto per guidare il Pd nazionale. C'è la “‘gabbia” di una regione che, si continua a ripetere, non è rappresentativa del resto d'Italia. Ma c'è anche, strettamente collegato a questo, il pragmatismo socialdemocratico dei dirigenti del Pd emiliano, prosaici, concreti, abituati a trattare con microimprenditori che lavorano insieme ai loro operai, poco inclini alle visioni e agli entusiasmi dei quali, lo si è visto, un movimento politico ha pur sempre bisogno. Perché non lo mobiliti, ha detto Achille Occhetto dall'alto dei suoi 86 anni, con le battaglie sulle bollette o i bonus, ma con l'apertura di fronti etici planetari, come la guerra, la giustizia sociale, l'immigrazione, la crisi climatica. Magari senza troppo scendere nei dettagli, finché la condizione di oppositore te lo consente.

 

 

Non è questo, tuttavia, il solo punto che va sottolineato della sconfitta di Stefano Bonaccini, quanto l'altro, l'aver cioè prevalso nel voto degli iscritti e nell'essere stato battuto da quello degli elettori. Al bando tutti i sospetti su manovre che possano esser state messe in atto da votanti dei Cinque Stelle o dei partiti di destra: resta il fatto che l'elettorato del Pd, scegliendo Schlein, è parso diverso dalla sua base militante che aveva decretato la vittoria del Presidente della Regione. Se è vero che hanno espresso la loro preferenza per Schlein soprattutto giovani e donne, si direbbe che sia in corso una trasfigurazione antropologica, nella base elettorale dem. Una base che non va più a votare e tanto meno si tessera; che non sa più nemmeno dove stiano di casa le feste dell'Unità o i circoli; che ignora le scadenze rituali e l'organizzazione; che non partecipa a riunioni e assemblee di teste incanutite, ma che è unita da un sentire, vasto quanto generico. E' il sentiment di quanti non credono che i Cinque stelle possano mai rappresentare il popolo di sinistra; che non si fidano delle metamorfosi di Giuseppe Conte; che vedono nel centro di Calenda e Renzi il concentrato degli effetti del liberismo e l'assenza totale di idealità; che hanno comunque un forte senso di appartenenza alla comunità; che avvertono il peso delle ingiustizie sociali e di genere; che soffrono per la precarietà e le incertezze gravanti sul futuro; che nutrono una sensibilità ambientale molto maggiore di quella rappresentata dalla sinistra istituzionale; che vorrebbero tanto dire basta alla guerra e alle forniture di armamenti, anche se non sanno bene da che parte incominciare; che considerano il governo Meloni non tanto nello schema fascismo/antifascismo, ma come estraneità, sostegno agli egoismi corporativi, al lasciar fare ai forti e come voracità di potere. E ci fermiamo qui, perché proseguire presupporrebbe riuscire a delineare l'identità del Pd: un'impresa oggi a dir poco sovrumana.