Verso il Giorno della Memoria

Quando la liceale intervistò ''il cacciatore di nazisti''

La carpigiana Sara Buzzi intervistò Simon Wiesenthal

Alle loro spalle una grande cartina riporta, con una stella di David, i campi di concentramento e di sterminio nazisti che fino al 1945 punteggiavano drammaticamente l’Europa. La foto risale però al 1998 e immortala la carpigiana Sara Buzzi, oggi quarantaquattrenne insegnante alle primarie Rodari e allora studentessa liceale, e un personaggio che ha fatto la storia del Novecento: Simon Wiesenthal. Noto anche come il cacciatore di nazisti. Un incontro storico per l’allora maturanda Buzzi, che ebbe l’opportunità unica di intervistare Wiesenthal: «Era il 1998 e stavo preparando la tesina per la Maturità al Liceo Socio Psicopedagogico San Tommaso di Correggio, dove avevamo trattato l’argomento dei campi di concentramento ed eravamo andati in visita scolastica a Mauthausen – racconta Sara –. Siccome mio padre parla tedesco, scrissi una lettera al Centro di documentazione di Wiesenthal a Vienna e lui mi rispose concedendomi un’intervista, nonostante io non fossi né una storica né una giornalista. Andai a Vienna con la mia famiglia: aveva un ufficio bellissimo, pieno di libri ad ogni angolo delle pareti e aveva una guardia armata all’ingresso perché era spesso minacciato da neofascisti. Fu una bella esperienza, gli portai un opuscolo del Museo al Deportato di Carpi. Non conosceva Fossoli ma mi ascoltò attentamente. Mi sembrò di parlare con un nonno e, nonostante avesse raccontato la sua vita miliardi di volte tra interviste e film, ebbe una grande disponibilità verso una ragazza giovane».

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Fu l’unica volta in cui Sara vide il cacciatore di nazisti, che morì nel 2005: "Gli spedii la tesina dopo averla completata, ma non l'ho più risentito". Oggi, in occasione della Giornata della Memoria che si ricorda il 27 gennaio, Sara riavvolge il nastro dei ricordi. Per non dimenticare e non far dimenticare, proprio come avrebbe voluto Wiesenthal: «In lui c’era il desiderio che questa storia rimanesse nella memoria collettiva. Mi fece vedere il tatuaggio sul suo braccio e voleva che tutto questo non finisse in un limbo ma ci fosse giustizia, proprio come il suo libro “Giustizia, non vendetta”, che mi ispirò all’intervista».