Se n'è andato Giulio Beltrami: addio a un generoso, curioso, stravagante e geniale artigiano

E' spirato nel pomeriggio di giovedì 27 aprile, all'età di 80 anni, Giulio Beltrami. Nel nome riassumeva, insieme a quelli dei fratelli Attilio e Norberto, scomparsi rispettivamente nel 2016 e nel 2022, la storia di una famiglia carpigiana di geniali artigiani del legno, del vetro e della liuteria che dura da più di 160 anni e che continua tuttora con la vetreria di via San Francesco. Le esequie dalla camera ardente di via Falloppia si svolgeranno in forma privata. segue

 

 

E' con il cuore spezzato che si è costretti a dare certe notizie, avendo alle spalle lunghe amicizie che evocano episodi e ricordi non solo personali, ma molto di più, di atmosfere e climi, verrebbe da dire di epoche intere. Giulio Beltrami era un carattere istintivamente attratto dalla pulsione ad andare “contro”. Non nel senso ideologico normalmente attribuito a questa espressione, ma piuttosto come originalità, rifiuto ironico delle convenzioni, navigazione nella vita infischiandosene di senso comune, maggioranze e pensieri dominanti, tendenze generali, ma sempre cercando una propria singolarità, fino alla stramberia e all'eccentricità. E non è difficile collegare a questi tratti non solo il suo mestiere di imprenditore artigiano di vaglia, capace di costruire e modellare il legno con una creatività straordinaria. Vi risale anche una passione per il cinema che lo portò a ricavare una saletta di proiezioni nella casa di via Trento Trieste. Era la casa in cui per anni ha accolto tutti i personaggi più bizzarri e anticonformisti – che ne fossero consapevoli oppure no – della città, ma anche di passaggio a Carpi: l'attore o l'attrice che avevano appena recitato al Comunale o lo scrittore o il conferenziere di turno. Non era un salotto, come non lo sarebbe stata l'antica falegnameria sotto casa che, a cavallo fra gli anni Novanta e Duemila, trasformava la sera in un luogo di memoria, discussioni, recite e letture. Niente gli era infatti più estraneo dell'attitudine salottiera, lui che non si è mai dato arie da intellettuale e preferiva dar modo agli altri di credere di esserlo, di esprimersi, preoccupandosi soprattutto di creare le condizioni perché si accendesse una discussione, o si manifestasse un talento o semplicemente perché ci fosse lo spunto per una risata in compagnia.

Era inevitabile che la sua esistenza si incrociasse con quella di Gianfranco Imbeni, altra individualità singolare, che avrebbe ospitato per anni in quella casa, condividendo con lui la propensione alla convivialità intelligente, la curiosità per il prossimo, valorizzando le sue doti di scrittura e coinvolgendolo nel suo attivismo sociale e culturale a volte frenetico. I non più giovani lo ricordano all'epoca in cui il Sessantotto, in ritardo di due o tre anni, approdò a Carpi, quando si aggirava, con baffi e barba rasati a metà, fra conferenze e cineforum (qualcuno un giorno scriverà una storia del ruolo svolto dal cinema in città per le generazioni che avevano allora fra i 18 e i trent'anni). E lo si ricorda per una quantità di episodi che ne confermavano quella collocazione un po' stramba, a metà strada tra il genius loci carpigiano più legato al dialetto e alle tradizioni e l'apertura alle sperimentazioni più ardite, nel cinema, come nell'arte, nella scrittura come, verrebbe da dire, nella vita. Figure come lui mancano e mancheranno sempre di più a Carpi. E non solo perché con Giulio Beltrami se ne va un pezzo importante di una saga familiare scolpita nella storia cittadina, ma per quella sua impronta di generoso altruismo, intelligente stravaganza, geniale estrosità e interesse a conoscere e a far incontrare le persone che oggi non si saprebbe più dove andare a cercare.