Le clamorose dimissioni di monsignor Francesco Cavina da Vescovo di Carpi

Un commiato tra la rabbia e l'orgoglio

Si sono detti  “profondamente colpiti”, i vescovi emiliano romagnoli  in ritiro spirituale a fine giugno a Marola, dalle parole espresse da monsignor Francesco Cavina sulla sua personale sofferenza per i  recenti fatti di cronaca che lo hanno coinvolto. Citano due suoi passaggi contenuti nella lettera di dimissioni: “la gogna mediatica a cui sono stato sottoposto non si è interrotta” e “queste vicende mi hanno portato, dopo aver molto pregato e chiesto consiglio a persone sagge e autorevoli, a maturare una sofferta decisione”. Poi passano a elogiare l’intensa opera pastorale svolta da monsignor Cavina nella sua comunità, l’impegno per la ricostruzione del post terremoto e la riapertura della Cattedrale, la sollecitudine dimostrata  in occasione delle visite di Benedetto XVI e di papa Francesco. Si stringono, infine, attorno a lui “nella certezza che il suo servizio alla Chiesa continuerà a offrire buoni frutti”, prima di rivolgere un pensiero di “vicinanza e di accompagnamento” a monsignor Erio Castellucci per la sua missione da amministratore apostolico della Diocesi di Carpi. Le ragioni del clamoroso abbandono, dunque, le  riprendono esclusivamente con le sue parole: come dire, tutta la nostra solidarietà, vicinanza e apprezzamento, ma il peso specifico assegnato ai motivi delle dimissioni è tutto suo. Lui ha ritenuto che vi sia stata “gogna mediatica”, lui si è sentito al centro  della “diffusione mediatica  in tempo reale” che ha  contraddistinto l’indagine. I Vescovi si fermano qui. Poi, sulla fondatezza o meno delle ragioni addotte da monsignor Cavina si  continuerà a dibattere all’infinito, come sta già avvenendo. A suo favore si è mobilitato il fronte cattolico ultraconservatore con la rivista Tempi di Comunione e Liberazione; il sito CulturaCattolica.it che ha lamentato come non vi sia stata, per “l’umiliazione selvaggia” di monsignor Cavina, la stessa ondata di sdegno sollevata dalla foto del padre annegato con la figlia nel Rio Grande nel tentativo di varcare il confine degli Stati Uniti; e il giornale on line La nuova Bussola quotidiana ha parlato di “barbarie su Cavina” che la Chiesa non avrebbe difeso. In zona si sono segnalate TvQui, con un servizio sull’“inquisizione laica” che avrebbe perseguitato il Vescovo dimissionario, e la lista civica Carpi Futura, con un comunicato che parlava di “vicenda indecente” a proposito della divulgazione del contenuto delle intercettazioni, definendo “poteri bassi” quelli che se ne sono resi responsabili. La discussione continuerà, si può starne certi. Ma le  gerarchie se ne tengono alla larga, lasciando aperte le porte a ogni interpretazione:  che il Vescovo di Carpi avesse tutte le ragioni di questo mondo per sentirsi al centro di un complotto, ma anche che abbia preso una decisione molto personale, per non dire esagerata. Tra queste due ipotesi estreme, potrebbero esservene  altre, che attingono un po’ alla prima e un po’ alla seconda. Per esempio che l’indagine c’entri sì, ma non con l’evidenza che vi è stata data. A parte il fatto che, dopo l’archiviazione, stava scivolando nel dimenticatoio, la domanda è: che cosa hanno rivelato, in fondo, le intercettazioni? Non vi compare una sola frase del Vescovo, quanto piuttosto quelle di qualche pia donna in ammirazione per il prelato e un affannarsi intorno a lui dell’ex Vicesindaco e dell’assessore Milena Saina, rispetto ai quali, riferiscono  le cronache, il Vescovo – del quale non vengono mai riportate le parole – appare distaccato e molto prudente. A partire dall’affaire delle  fontane che lui intendeva accollarsi e che Simone Morelli gli voleva invece finanziare, vincendo le sue perplessità. Certo, non può aver fatto piacere a monsignor Cavina ritrovarsi in cronache siffatte, rimbalzate per di più nel nazionale, riprese e amplificate da un articolo dell’Espresso che, infischiandosene delle questioni carpigiane, non vedeva l’ora di collegarle al presunto ruolo da lui avuto nelle vicende vaticane. Ma ci vuol altro per arrivare a chiedere al Papa di potersi dimettere per ragioni locali oggettivamente insussistenti o per ragioni “romane” che non hanno impedito la sua nomina a Vescovo. 

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