Si è aggiudicato il Primo premio al Festival dei Popoli di Firenze, ma ha riscosso riconoscimenti in tutte le città italiane in cui è stato proiettato, fino a conquistarsi, qualche giorno fa, una presentazione alla New York Film Academy. Si parla qui del docufilm “Pentcho” del documentarista carpigiano Stefano Cattini, già regista de “L’Isola dei sordobimbi” del 2004, candidato al David di Donatello nel 2010 e autore di numerosi altri cortometraggi. “Pentcho” dura un’ora e venti, è stato musicato da un altro carpigiano, Enrico Pasini, è frutto di una coproduzione Sonne Film, con Rai Cinema e Mosaic Film, con il sostegno di Emilia Romagna film commission e narra quella che una delle testimoni che vi compaiono definisce “una storia di speranza e di sogni che si sono realizzati”. La speranza e i sogni furono quelli di cinquecento ebrei polacchi, cechi, slovacchi che il 18 maggio 1940, per sottrarsi agli orrori dell’occupazione nazista, si imbarcarono a Bratislava su un vecchio e malandato battello fluviale con ruote azionate da una macchina a vapore, il “Pentcho”, appunto, acquistato a Bucarest tramite una organizzazione internazionale ebraica. Il documentario di Cattini ricostruisce passo passo l’odissea dei fuggiaschi, stipati come sardine su quell’improbabile imbarcazione per cinque lunghi mesi di navigazione lungo il Danubio, con enormi difficoltà incontrate a ogni passaggio di frontiera, fino all’arrivo nel porto rumeno di Sulina, sul mar Nero. Qui avrebbero dovuto imbarcarsi su una nave per raggiungere la Palestina, ma quella nave non arrivò mai. Con notevole sprezzo del pericolo, dunque, e dopo infinite discussioni, l’organizzatore del viaggio decise di affrontare il mare aperto, con quel battello a chiglia piatta costruito per la tranquilla navigazione fluviale e che “sulle onde era come se danzasse”, raccontano i testimoni. Oltrepassati i Dardanelli e schivate le mine disseminate per tutto il mar Egeo, il “Pentcho” venne definitivamente bloccato da una mossa disperata del comandante: utilizzare acqua marina anziché potabile per alimentare la caldaia del motore. Che così esplose, lasciando l’imbarcazione alla deriva, fino a che non andò a urtare contro l’isoletta di Kamilonisi, poco più di una sassaia in mezzo al mare. Vi restarono una decina di giorni, smantellando la “Pentcho” – che in poco tempo si spaccò in due e si inabissò – per ricavarne tutto quanto poteva servire alla permanenza su quell’isola deserta. A recuperarli fu una nave da guerra italiana che li trasportò a Rodi e da qui, visto che l’isola era continuamente bombardata dagli aerei inglesi, a Bari, per essere poi sistemati nel campo di internamento di Ferramonti, in provincia di Cosenza, dove il Museo della Memoria che vi è stato ricavato nel 2004 conserva anche immagini dei passeggeri del “Pentcho”. La narrazione di Cattini alterna immagini fotografiche dell’epoca ai suggestivi scorci odierni dei paesaggi attraversati dal battello in Ungheria, Serbia, Bulgaria e Romania; le visioni dall’aereo dell’isola dell’Egeo commentate con il figlio di Alexander Citron, l’organizzaztore della fuga, ai disegni animati che illustrano la rotta seguita. Ma si affida soprattutto alle testimonianze vivide, struggenti, anche ironiche di chi a bordo di quella nave viaggiò per davvero, alcune – come quella di Alexander Citron – recuperate da un filmato girato alla fine degli anni Ottanta, altre raccolte in Israele dallo stesso Cattini, attraverso la figura chiave di tutto il docufilm: Karl Farkash, che all’epoca aveva otto anni. È lui che a Tel Aviv accompagna Cattini negli incontri con altri testimoni; è lui che a Netanya, la cittadina del litorale israeliano dove avrebbe dovuto approdare con i compagni di fuga, ha fatto realizzare un monumento commemorativo del viaggio del “Pentcho”. E dalla viva voce sua e degli altri sopravvissuti, in qualche caso dei loro figli (una venuta alla luce durante la navigazione), emerge il quadro di quelle esistenze che si incrociarono a bordo del battello, delle storie, degli affetti, delle unioni che vi nacquero, anche dei litigi, delle tensioni e in particolare della fortissima e tenace speranza che tutti condivisero.
12 Febbraio 2019
Il docufilm Pentcho di Stefano Cattini vincitore al Festival dei Popoli
In battello verso la libertà
Il titolo è il nome di una imbarcazione malandata con la quale nel 1940 cinquecento ebrei slovacchi, cechi e polacchi fuggirono dall'occupazione nazista. La suggestiva ricostruzione del regista carpigiano con documenti originali e struggenti testimonianze
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