Il giorno più ''nero'' di Dorando squadrista: un libro di Montella e un articolo sul Venerdì

Un articolo di Jenner Meletti, giornalista originario di Carpi, apparso sul Venerdì di Repubblica in edicola dall'8 agosto con il titolo “Vi racconto il vero giorno nero di Dorando”, prendendo spunto dall'imminente pubblicazione di un corposo libro di 700 pagine di Fabio Montella dedicato all'argomento, ritorna sulle vicende, note ma non troppo, legate alla partecipazione di Dorando Pietri alle spedizioni punitive organizzate dal Fascio di Carpi tra il 1921 e il 1922.

“Fra violenze inaudite e bagliori di incendio. Conflitti politici a Modena e dintorni tra la guerra di Libia e la Marcia su Roma” si intitola il volume che uscirà a settembre, edito da Mimesis per conto dell'Istituto storico di Modena di cui Montella è collaboratore. Il libro, ricorda Meletti, smonta la fama di fascista sì, ma tiepido e all'acqua di rose che ha sempre circondato il nome del maratoneta di Londra 1908. Una fama, scrive l'autore del servizio, basata su un'intervista che nel 1985 Ondino Miselli detto “Nando” (il suo nome compare fra quelli dei Carpigiani che presero parte alla Marcia su Roma, ndr) rilasciò alla studiosa e ricercatrice Luciana Nora. Dove sosteneva che sì, di Dorando come autista di camion si servivano gli squadristi per partecipare ad adunate, ma che lui non era fascista. Tutt'al più, precisava, uno di quei trasporti con Dorando alla guida servì a un manipolo in camicia nera per recarsi a una festa da ballo a Quartirolo dove “...dettero qualche bastonata in qua e in là, un ragazzo morì e in sei o sette finirono in galera»”. Nel libro di Montella si torna su quell'episodio del 24 giugno 1922 che costò la vita ai giovani Agostino Zanfi, 16 anni, e Gino Ognibene, di 15. La loro colpa era stata quella di essersi ritrovati la sera a ballare, insieme a un gruppo di ragazzi cattolici, in una balera dalla quale, nei giorni precedenti, qualcuno aveva sentito provenire le note di Bandiera rossa. “Dopo la mattanza – scrive Meletti – i fascisti tornano alla Torpedo ferma a 400-500 metri. Ad aspettarli, nel buio, c'è l'austista”. Dorando Pietri, appunto, che nella deposizione al commissario di polizia sulla quale si basa la ricostruzione dell'episodio, dichiarerà di non sapere, di essersi limitato al trasporto, di non aver visto armi né quanto era successo nella balera. Lo sguardo di Montella si allarga però ad altri episodi avvenuti nel mantovano l'anno precedente, come l'irruzione nel municipio di Moglia, l'incendio della Camera del Lavoro di Pegognaga e di quella di Bondeno. Il nome di Dorando Pietri compare come settimo, nella lista di dieci fascisti identificati dalla Questura, e non in veste di semplice autista.

 

L'ex atleta, che negli anni precedenti si era arricchito grazie agli ingaggi della tournée Oltreoceano, spiega Meletti riprendendo Montella, non verrà mai perseguito per i sanguinosi fatti di Quartirolo, per effetto di un'amnistia promulgata nel Natale 1922 e, dopo la liberazione, dell'amnistia decretata da Togliatti. Ma quel precedente non doveva avergli reso facile la vita a Carpi e potrebbe essere stato all'origine della decisione di trasferirsi a Sanremo dove aprirà un'autorimessa e dove morirà nel 1942. Nel testamento olografo del 1933 con il quale organizzò il proprio funerale, riferisce sempre Meletti, aveva lasciato scritto: “Voglio che mi sia messa la camicia nera”.