In un libro la storia dei pasticceri Mailli: un secolo di dolcezza

A leggersi “Una storia di pasticceri” di Vilde Mailli (Castelfranco Emilia 2021, 72 pagine, 15 euro) il cui cognome evoca una stirpe di artigiani della pasticceria che ha attraversato tutto il Novecento di Carpi per concludersi agli inizi del nuovo millennio, sfilano davanti agli occhi – non senza attivare soprattutto gusto e olfatto – meringhe e bigné, millefoglie, canellini, italiane, tripoline, strudel, salami dolci e al cioccolato, bresciane e cestini. E poi cannoli siciliani, babà, krafen, sigari, fagottini alle mele, torte di riso e di mele, la Crostata e la Delizia ricoperta di pasta di mandorle e tagliata a rettangoli. Per non parlare di dolci gravidi di tradizione, come il bensone e la spongata. Nomi, e soprattutto sapori, che dicono qualche cosa a generazioni di Carpigiani, anche alle meno recenti, quelle che hanno gustato i tortellini dolci e gli amaretti e ancora sanno che cosa sono i savoiardi usati per zuppa inglese, intinti nella bagna che poteva essere a base di alchermes, ma anche con l'aggiunta di rhum, mandorla o sassolino. Tutto un mondo con materie prime in “sacchi pesanti di farina” e fatto di “zucchero da movimentare – scrive Vilde Mailli – latte ricolme di paste da infornare”, che richiedeva anche forza fisica, dunque prevalentemente maschile, molti anni prima che i prodotti semilavorati e le macchine per impastare, sbattere, triturare, stendere la sfoglia lo ponessero alla portata anche delle donne.

 

Di uomini, ma anche di donne è fatta dunque questa vicenda della famiglia Mailli che si dipana sullo sfondo della storia del Novecento, la grande storia, ma anche quella sociale, dei mestieri, delle povertà, delle privazioni, della tubercolosi. Ed è storia di luoghi, carpigianissimi luoghi, dalla Pasticceria Roma, in piazza Vittorio Emanuele, dove il capostipite Bruno Mailli, nato nel 1897  da un cocchiere e da una trecciaiola, mosse i primi passi sotto la guida dell'ebreo Isaia Calgher, fino all'ultimo esercizio, chiuso in via Duomo nel 2004 dal più giovane dei suoi figli, Adelmo Mailli, e dalla moglie Pierina Abate. In mezzo c'è stato il civico 40 di corso Cabassi dove il primogenito Silvio Mailli, il padre dell'autrice, aprirà con Adelmo e con la moglie Bice, il 18 aprile 1948 – data fatidica anche per altre ragioni – la prima, vera pasticceria Mailli, chiamandovi anche il padre, lavorante presso il forno Bellelli, e l'altro fratello Alberto, in servizio al Bar Milano. E ci sono la via Manuzio e la via Sardegna, laterali del corso principale, che ospiteranno via via gli allargamenti del forno al servizio del negozio, a propria volta trasferitosi dove ora c'è il Caffè Martini, prima dell'ultimo, definitivo trasloco in via Duomo. Nella scia profumata che accompagna una saga familiare così legata a tutte le  declinazioni della dolcezza, ci stanno anche aspetti di costume, l'evoluzione stessa del gusto dei Carpigiani, delle abitudini e delle possibilità economiche, con la fuoruscita di torte e paste dal perimetro dell'esclusività per diventare beni di largo consumo, con l'affollarsi domenicale, dopo la messa in Duomo, nella pasticceria Mailli per uscirne con il classico pacchetto destinato ad addolcire la domenica in famiglia. E' una lettura godibile, quella che ci regala Vilde Mailli, resa con stile chiaro e diretto, ricca di spunti e con un sontuoso apparato fotografico. Ma è anche una lettura serena e distaccata, senza concessioni a nostalgie: il “bel tempo che fu” qui non esiste, l'autrice è ben consapevole di quali lutti e tragedie fosse fatta anche una storia di continua crescita come quella della famiglia Mailli. Il passato, qui, non è rimpianto: è ricordo documentato. Storia, in altri termini.