Quando Lucia portava i doni. Un racconto di Carlo Rossini

Anch’io sul finire degli anni Quaranta ho frequentato l’asilo comunale. Di quel tempo di quell’età mi è impossibile rievocare se non qualche nota, che  forse oggi fa un po’ sorridere.  Restano i ricordi di un bambino scoloriti dal tempo. Una infanzia, la mia, postuma alla guerra, dominata da un  difficile momento. Nel mio archivio polveroso e ingiallito mi rivedo, e mi trovo  in un edificio ottocentesco,  alte finestre rotonde protette da inferriate. All’interno, ai miei occhi, un enorme salone. Un pavimento di legno  inumidito di tanto in tanto  dalla bidella, che sanifica spargendo manciate d’acqua da un secchio. Un cortile dove noi bambini e bambine stiamo correndo fra una altalena di spesse corde e rifinita di seggiolino di legno, alti pioppi e tanta polvere. Due suore in tonaca nera fino ai piedi e una cuffia plissettata in testa dello stesso colore. Sul petto un crocefisso  d’acciaio su una croce nera. Un’unica inserviente Gina, che mi tiene con lei oltre l’orario fino a pulizie ultimate, passando poi da casa mia a recapitarmi a mia madre. (segue sotto)

Il salone è provvisto di un armonium, guarnito di vasi con fiori di campo sempre freschi e arricchito di  tappetini ricamati, e la statuina di una Madonna Immacolata. Le suore a turno suonano quel congegno  a pedali  facendoci anche cantare. Una scrivania  con una sedia pare controllare la sala. Sulla stessa, una campanella da usare all’occorrenza  quando i nostri rumori  diventano insopportabili. Un armadio a vetri trasparenti ma chiuso a chiave. Dentro, in mostra,  tanti giochi, intoccabili, solo da ammirare. Alcuni  vengono prelevati, ogni qualvolta c’è un pianto disperato di bimbo per dei dispiaceri già preventivati. Quei giochi sembra abbiano proprietà terapeutiche. Io in quella mostra mi perdo a osservare il cavallo grigio pezzato, di cartone, con criniera e zoccoli neri, fermato su un piano di legno  con quattro ruotine. Delle suore non ho ricordi travolgenti.  Non ho in memoria rimproveri. Io  rimango più anonimo che  primo attore. Nelle recitazioni posso al massimo rappresentare un pastore. Le filastrocche e le recitazioni vengono affidate a Marina, una bella bambina dagli occhi azzurri e i riccioli d’oro alla Shirley Temple.   

Nei primi giorni di dicembre, con l’avvicinarsi dell’evento di Santa Lucia, sovente le suore si avvicendano occultandosi, percorrendo gli attigui corridoi, suonano il campanello, facendoci intendere che la Santa è nei paraggi. Noi zitti, io non muovo ciglio, sto buono, perché ho fatto la richiesta e spero mi porti un cavallo simile a quello in vetrina. Poi c’è un tempo  per Marina, sempre la prima che a memoria recita la filastrocca:

Santa Lucia  bella                      
dei bimbi sei la stella,
tu vieni a tarda sera
quando l’aria si fa nera.

Tu vieni con l’asinello
al suon del campanello,
e le stelline d’oro
che cantano tutte in coro:

“Bimbi, ora la Santa é qui
ditele così:
cara Santa Lucia
non smarrir la via
trova la mia porticina
quella é la mia casina!”
E giù tanti doni.

L’eccitazione ogni giorno aumenta man mano che s’avvicina la data. Il 12 sera mi corico a letto più presto del solito con in testa il dono del cavallo. La mattina dopo mi sveglio e scopro che  S. Lucia da me non è passata. Resto alquanto dispiaciuto. Ma come di consueto qualcuno mi riporta all’asilo senza esitazione. Entro nel salone, e intorno a Marina e alcuni bambini figli di personaggi importanti  si sono formati capannelli. Sembra la fiera del regalo più bello da mostrare. Anche le suore sostano con loro, osservano  sorprese  quelle visioni felici e  inattese,  quasi guardassero dei giochi per la prima volta. Altri bambini, i più irrequieti, sbucciano un’arancia,  che è tutto quello che si sono conquistati. Loro, spesso sgridati, pensano di non meritare di più  e  restano in disparte, disinteressati, a degustare il loro agrume.  Poi consegnano le bucce a Gina che le pone tra i ripiani di pietra  della stufa rossa. Io invece medito le cause e i perché Santa Lucia con l’asino e tutto quel carico si è fermata solo da Marina. Lei abita una bella casa in vista con un grande giardino è molto facile trovarla. Io alloggio lì vicino, ma per entrare in casa mia c’è un primo ostacolo: un grande portone chiuso dal quale si  entra attraverso una porticina e si passa in un grande andito, con  tutto quel buio  fino alla  scala che porta in casa, altrettanto tetra. Penso che l’asino non sia potuto entrare, e lei  anche se è una Santa avrà avuto paura. In tarda mattinata nel salone ritorna la solita calma. Un profumo sprizza dalla stufa, pare un aroma natalizio che mette gioia. Sono le essenze fluite dalle scorzette essiccate delle arance ingerite dagli indocili amici.