Sinagoghe e cimiteri testimonianze della presenza ebraica a Carpi in un libro della Fondazione Campo Fossoli

Un elegante quaderno che, ricostruendo le vicende architettoniche delle due sinagoghe di Carpi, fornisce anche uno scorcio della storia della presenza ebraica in città. Questo il senso dell'iniziativa editoriale della Fondazione Campo Fossoli con la pubblicazione "Le sinagoghe di Carpi” (Bologna 2023, 58 pagine, 10 euro) curata da Matteo Cassani Simonetti con saggi di Vincenza Maugeri e Caterina Manfredi e che vede la luce in concomitanza con il ritorno all'agibilità e all'uso pubblico della più antica delle due, quella per lo più sconosciuta ai carpigiani eretta nel 1722 sopra la copertura del Portico del Grano, a completamento in sopraelevazione dell'abitazione privata del ricco ebreo Isacco Beneroj.  Usava così, allora. E del nuovo spazio religioso si serviva una comunità piuttosto raccolta – un'ottantina di persone in tutto – alla quale l'accesso era consentito, come scrive il curatore della pubblicazione, tramite una scala tortuosa attribuibile al Lucenti per la sua prima parte, piuttosto monumentale e che serviva anche per entrare in casa Beneroj. La seconda parte della scala ha invece le fattezze di un prolungamento funzionale, necessario giusto per raggiungere la sinagoga in soffitta, tant'è che la completa una scaletta in legno messa lì per superare un dislivello. Come confermano le sue dimensioni, la sinagoga settecentesca serviva una piccola comunità. Sufficiente, però, per giustificare nel 1719 la trasformazione in ghetto, con tanto di portoni da chiudere al tramonto, della via di Mezzo (via Rovighi) dove risiedevano in maggioranza gli ebrei con negozi e banchi che si affacciavano sulla parallela via Maestra (corso Alberto Pio) in applicazione alle disposizioni del duca Rinaldo d'Este e valide per tutto il Ducato. Tutto questo, nonostante la convivenza con la popolazione locale non avesse mai sollevato particolari problemi, a parte la curiosa denuncia, raccontata da Matteo Cassani Simonetti nel suo saggio su "Le sinagoghe e il cimitero ebraico di Carpi: 1722-1921”, delle monache del monastero di San Sebastiano che confinava con il ghetto, basata su una certezza: "a causa del gran fittore (fetore, ndr) che da quello continuamente esalerà, come connaturale a tal nazione”.

A parte la parentesi napoleonica, cioè tra il 1796 e il 1814, il ghetto resisterà e la sinagoga al suo servizio continuerà a essere quella isolata lassù, sui tetti, invisibile dalla strada, tanto da dovervi accedere da un ingresso privato e da una scala molto ripida. Le mutate condizioni politiche di metà Ottocento, che vedranno gli ebrei italiani in prima fila nelle lotte risorgimentali, e insieme le pessime condizioni in cui era ridotta la prima sinagoga, saranno poi all'origine della decisione di edificarne una nuova, inaugurata nel 1861, questa volta ben visibile dalla strada e progettata da Achille Sammarini. Annota al riguardo l'autore del saggio che non c'era, fra i tecnici e gli ingegneri dell'epoca ai quali venne  affidata la costruzione di diverse sinagoghe, una precisa conoscenza del culto ebraico e delle connesse liturgie. E Sammarini non faceva eccezione, disponendo solo della nozione per la quale l'aròn, o Arca nel quale trovano posto i rotoli della Torah, doveva essere sistemato a est, nella direzione di Gerusalemme. Ne risulta un'identità architettonica poco affine alla cultura ebraica ma l'importazione di "un linguaggio eclettico già codificato”. Dal libro si apprende anche che l'ultima occasione in cui venne utilizzata la sinagoga ottocentesca risale al 1907, con il matrimonio tra Umberto Campagnano, titolare dell'omonima tintoria in centro, non più esistente, e Olga Usiglio. La comunità ebraica si dissolse praticamente nel 1921 e tutti i suoi beni, inclusi gli arredi della sinagoga, passarono alla Comunità israelitica di Modena. Il saggio storico contiene anche una ricostruzione della vicenda dei cimiteri ebraici: il primo ricavato a Cibeno, poi, per tutti i secoli XVII e XVIII, nell'isolato racchiuso da via Berengario, viale Fassi, via Paolo Guaitoli e via Rocca e, dal 1823, nell'attuale posizione, dove sono rimaste undici lapidi mentre le ultime sepolture risalgono al 1957, con il trasporto qui dei resti di tre internate ebree decedute nel campo di Fossoli.

 

I saggi di Vincenza Maugeri, storica dell'arte ed esperta di Beni culturali, già direttrice del Museo ebraico di Bologna, e di Caterina Manfredi, architetto impegnata in diversi lavori sui beni monumentali di Carpi, sono dedicati rispettivamente agli arredi delle sinagoghe e ai lavori di restauro appena conclusi sulla sinagoga settecentesca di Carpi. Stupisce invece che nella ricca bibliografia che correda un lavoro che molto deve agli studi di Alfonso Garuti, non compaia il ponderoso lavoro in tre volumi dal titolo "Gli ebrei di Carpi” che Gianfranco Guaitoli ha pubblicato lo scorso anno, fra l'altro sotto gli auspici della stessa Fondazione Campo Fossoli, contenenti i regesti di tutti gli atti e i documenti riguardanti gli ebrei di Carpi dal XV al XX secolo, frutto di un certosino e paziente spoglio degli archivi locali, e non solo, da parte dello studioso.