Sono diventate una mostra e un catalogo, raccolti entrambi sotto il titolo "Le Età della Violenza” con testi dell'autore e di Anna Montebugnoli, studiosa di teoria e storia dell'estetica (si è laureata con una tesi su "La rappresentazione del supplizio. Per un'archeologia dello spettacolo punitivo”) gli scatti di Roberto Solomita, fotografo professionista, prima di essere eletto nel 2014 Sindaco di Soliera dei quali Voce Mese offrì un'anteprima nell'agosto 2021. L'esposizione resterà allestita dal 18 novembre al 10 dicembre prossimi presso la galleria Gate 26A di via Carteria 26A, a Modena, con vernissage sabato 18 alle 18 e orari di apertura dalle 17 alle 20 del sabato e della domenica e gli altri giorni su appuntamento. Il catalogo che la correda e la riassume è una preziosa edizione in tiratura limitata, stampata a caratteri mobili per il progetto grafico della copertina e la rilegatura a mano di Officina Typo e il progetto grafico del quaderno affidato a Elia Mazzotti. segue
C'è una sezione archeologica della mostra che contiene le rappresentazioni vere e documentate da foto dell'epoca di pene capitali inflitte nel corso della storia alle quali si affiancano le foto attuali di Solomita, che ritraggono una sublimazione quasi allegorica, con un'ambientazione edulcorata e sublimata nella vita borghese. Per dire che cosa? Per innestare una riflessione tra l'immagine e la realtà. E per spiegare che la rappresentazione fotografica di spettacoli punitivi di morte tendenti a suscitare empatia, partecipazione e coinvolgimento emotivo in chi la guarda contiene una componente di ambiguità e ambivalenza, che attinge alla sfera voyeuristica, allo sfruttamento del "dolore degli altri” come scrive Sontag o, se si vuole, a una sorta di pornografia del dolore che finisce per anestetizzarlo, trasformando l'osservatore in complice. Per controbilanciare questo effetto, nella mostra Solomita affianca a quelle archeologiche foto di studio che decontestualizzano la violenza, estraggono le figure e gli oggetti dalle circostanze che li hanno prodotti, attingono sì all'inquietudine, ma in forma allegorica, spostando l'attenzione dalla quotidianità superficiale alla profondità dell'inconscio. segue
E' un fotografare la violenza, insomma, che nell'opposizione delle due serie di immagini, quelle archeologiche e quelle di studio, si sottrae alla rappresentazione e cerca gli scarti e le opposizioni, piuttosto che le similitudini. Non c'è bisogno di ricordare che il rapporto tra immagine e realtà in contesti di morte e violenza è un tema di estrema attualità quando si pensi alle immagini dei bambini annegati sulle spiagge delle migrazioni o trucidati nei kibbutz israeliani o vittime dei bombardamenti su Gaza. L'autore trasferisce nel proprio obiettivo letture che attingono a Cioran, Bataille, Foucault e alla scuola di Francoforte, mentre la musica indipendente, wave e dark è quella che ne ha accompagnato la formazione fin dagli anni giovanili. «Per intenderci – ci spiega sorridendo – da ragazzo non avrei mai frequentato il Kalinka, ma piuttosto il Tuwat»: e anche questo c'entra quando si parla di immagine e immaginario.