Il brontolìo di fondo che si coglie negli ambienti letterari fin dall'omelia pronunciata il giorno del funerale dal teologo gesuita don Pierre Riches sulla interpretazione della figura e dell'opera di Pier Vittorio Tondelli, di cui ricorre il 16 dicembre il trentesimo anniversario della morte, viene ora a galla con forza dirompente nel libro che il giornalista e docente di Italianistica Sciltian Gastaldi ha pubblicato in questi giorni contenente una biografia e un'ampia rilettura critica dello scrittore correggese. Si intitola "Tondelli: scrittore totale. Il racconto degli anni Ottanta fra impegno, camp e controcultura gay” (Bologna 2021, 526 pagine, 24 euro) dove il termine camp sta per ”uso deliberato, consapevole e sofisticato del kitsch nell'arte, nell'abbigliamento e negli atteggiamenti” si legge in Wikipedia, secondo una tendenza che si lega molto alla diffusione negli anni Ottanta del concetto di postmoderno applicato all'arte e alla cultura. Vale la pena partire da questo richiamo al perimetro culturale dell'autore e di “Altri libertini”, suo libro d'esordio processato e sequestrato per blasfemia e vilipendio della religione cattolica. E vale la pena partire dagli ostacoli e dall'assedio di pregiudizi che la sua dichiarata omosessualità gli provocò sempre a Correggio, fino alla morte avvenuta per Aids, circostanza sempre negata dalla famiglia.
Sta proprio qui, infatti, il senso dirompente del libro di Sciltian: la denuncia, esplicita e senza giri di parole dell'azione intrapresa dal fratello dello scrittore, Giulio Tondelli, e da Fulvio Panzeri, curatore testamentario dello scrittore, critico di fede ciellina del quotidiano cattolico Avvenire, di impedire qualsiasi lettura della figura e dei lavori di Tondelli che non fosse all'insegna di un suo ritorno al cristianesimo, di una sorta di sofferto cammino verso la redenzione. In parallelo a questa lettura, suffragata da tutta la critica letteraria di ispirazione cattolica citata nel libro di Gastaldi e fatta propria dal gesuita Antonio Spadaro (“Il giovanilismo e l'arbitrio libertino delle prime opere è radicalmente in discussione su quella via di Damasco che è l'abbandono, quasi figura del deserto biblico”), ma anche da Claudio Piersanti, Giuseppe Bonura e dal critico letterario dell'Osservatore Romano Lugi Mantuano (“E' uno scrittore il cui percorso si configura radicalmente come un'attesa di salvezza teologicamente connotata”), in parallelo a questa lettura, si diceva, sta l'azione pratica condotta dal fratello. Nel donare infatti alla Biblioteca comunale Einaudi di Correggio libri, appunti, video di Pier Vittorio, oltre a sottrarre e a tenere per sé alcune preziose opere commentate dallo scrittore, Giulio Tondelli, scrive Gastaldi, “...ha consentito solo ad alcuni critici – a quelli cattolici, gesuitici, dell'Opus Dei o di Comunione e Liberazione – l'accesso a quei testi, operando anche qui una selezione del tutto arbitraria dei ricercatori sulla base delle proprie personali convinzioni ideologiche o religiose”. E ha finito per tenere nascosti appunti, glosse, annotazioni e commenti “...a chi non ha intenzione di offrire una interpretazione dei testi conforme alla sua e a quella del curatore testamentario Fulvio Panzieri”. L'atto d'accusa non si ferma qui. Ce n'è anche per il Comune di Correggio, titolare della biblioteca i cui operatori, rivela Gastaldi, hanno rivelato atteggiamenti di disagio, zelo e apprensione di fronte alle sue richieste di consultare i volumi del fondo Tondelli. E poi c'è Correggio, che nella parte del volume di Gastaldi dedicata alla biografia di Tondelli viene descritta come una bonaria e grezza madre contadina con le sue tradizioni, amata per senso di profonda appartenenza, ma anche odiata come “...centro del pettegolezzo sul differente orientamento sessuale di Tondelli e sulla sua bizzarra passione artistica per il cinema, i libri, la scrittura, il suo essere capellone...”.
A Pier Vittorio Tondelli anche Carpi è legata per il ritratto che lo scrittore ne scolpì nel 1980 con il suo memorabile racconto "A Karpi! A Karpi!”,. Ma si vorrebbe qui ricordare come, dieci anni dopo la morte dello scrittore, Gianfranco Imbeni ricordava l'omelia funebre di quel 16 dicembre 1991: «Nel giorno dei funerali di Pier Vittorio Tondelli la chiesa di san Quirino di Correggio offrì un duplice spettacolo di intrusione plateale. All'interno del tempio un prete-confessore ammanniva dal pulpito (...) il racconto irrispettoso del disfacimento di un corpo e della conversione estrema di uno spirito. Fuori, sul riquadro del sagrato (...) il presidente nazionale dell'associazione Arcigay distribuiva strette di mano con fare vedovile (...) sussurrando teso e radioso "Abbiamo vinto!”. E' credibile si riferisse soltanto al commosso concorso di folla, allo stringersi di molta parte di una cittadina intorno a un suo giovane figlio valoroso. Il sospetto è che sia il prete all'interno sia il politico “trasversale” all'esterno della chiesa perseguissero, in tutta legittimità, ma con scarsissimo gusto, scopi che niente hanno a che veder con quanto ha significato Pier Vittorio Tondelli per le nostre lettere patrie».