Il presidente Schena sulla scelta della Fondazione di investirci dieci milioni

Fondo Atlante? “Scelta politica e di convenienza”

Carpi – «È stata una decisione assunta in tempi rapidissimi, fra giovedì e venerdì della scorsa settimana. Era nella piena disponibilità delle Fondazioni decidere se accogliere o meno l’invito dell’Acri, l’Associazione delle Casse di risparmio italiane. Noi lo abbiamo fatto, non pensando solo a un investimento, ma anche di farci carico di un pezzo del problema che significa anche, per noi, proteggere il nostro patrimonio». 

Il “problema” al quale allude Giuseppe Schena, (nella foto) presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, è quello del sostegno per le banche italiane alle prese con operazioni di ricapitalizzazione per gestire i crediti in sofferenza. Un sostegno per il quale il Governo, convinto dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, ha lanciato di recente il cosiddetto Fondo Atlante, raccogliendo in pochi giorni oltre 4 miliardi di euro da istituti bancari e assicurativi, dalla Cassa Depositi e Prestiti e dalle Fondazioni bancarie. Fra queste, quella della Cassa di Risparmio di Carpi che nel Fondo ha conferito dieci milioni di euro, seguendo la linea di condotta di quasi tutte le 24 Fondazioni italiane che si sono allineate, versando chi più chi meno, in proporzione al patrimonio e con una sola eccezione, la Fondazione Cassa di Risparmio di Verona. Nei giorni scorsi, per dire, anche il Gruppo Bper ha deciso di aderire al Fondo, mettendovi cento milioni di euro.

Ma, presidente Schena, qual è la convenienza per la Fondazione? Era proprio necessario adeguarsi a un indirizzo che sa molto di politica?

«Nessun problema a riconoscere la natura politica di questa scelta, mettendo anche nel conto che nel breve non può portare a risultati brillantissimi. Ci sono molte similitudini, per chi ha buona memoria, con il fondo chiuso “Invest in Modena” promosso due anni fa da Unicredit e dalle Fondazioni bancarie del territorio per sostenere la ripresa produttiva delle imprese, in particolare di quelle colpite dal terremoto. In quel caso non si pensò a un investimento finanziario. Anche se c’erano in ogni caso precise garanzie patrimoniali, si intervenne soprattutto in quanto ci siamo sentiti parte di un sistema»

Nel caso del Fondo Atlante le terremotate sono le banche…

«C’è uno stress del sistema bancario, questo è fuor di dubbio. Ma noi siamo ingaggiati per le partecipazioni che deteniamo, con titoli di Unicredit, Banca Intesa e altri istituti che soffrono per la necessità di sostenere crediti deteriorati. Mettere in campo investimenti come quello che abbiamo deliberato significa dunque fare anche un interesse diretto, perché anche noi abbiamo obbligazioni della Popolare di Vicenza e delle altre banche in difficoltà»

Dunque, doppia utilità…

«Sì: proteggiamo il nostro patrimonio e sosteniamo un intervento solidaristico»

Il Financial Times non la pensa esattamente così. Considera il fondo Atlante un modo illogico di ripartire il capitale, prendendolo dalle banche grandi e meglio gestite, per erogarlo a quelle piccole e inefficienti. Con il rischio di indebolire l’intero sistema bancario. Come giudica questo ragionamento?

«Un ragionamento da Inglesi. Nel senso che tutti gli Stati europei hanno finito per sostenere i rispettivi sistemi bancari. Si tira sempre fuori la questione degli aiuti di Stato, poi tutti vi si adattano. Al Fondo Atlante le banche partecipano in modo intenso, con più di 3 miliardi di euro e le Fondazioni, complessivamente, con 500 milioni. Le banche maggiori, aiutano anche se stesse. E pure le Fondazioni, come le ho spiegato, perché tutte detengono titoli delle banche in difficoltà. E poi: 23 su 24 Fondazioni hanno aderito; il Fondo monetario ha dato un giudizio positivo sul Fondo; la Bce ne ha seguito la creazione passo dopo passo; la Commissione europea lo ha giudicato buono e non lo considera aiuto di Stato, visto che si tratta di investimenti privati… Manca solo un pezzetto»

Quale?

«Che il governo vari il decreto sul recupero crediti e le procedure consorsuali».

Si tratta dei provvedimenti che, riformando le procedure fallimentari, consentirebbero di accorciare di qualche anno la lunghezza dei percorsi per il recupero crediti. In questo modo, hanno osservato gli analisti, il valore di mercato dei crediti deteriorati risalirebbe immediatamente, completando l’azione del Fondo Atlante. L’obiettivo “politico” e solidaristico per il quale è stato istituito e la redditività finanziaria, a quel punto non sarebbero più in perfetto equilibrio. A tutto vantaggio della seconda. 

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