Riflessioni sul mercato russo sotto le sanzioni

Analizzare dall'interno la situazione economica in Russia, dopo le sanzioni, e scoprire che non è così disastrosa, come viene spesso dipinta in Occidente, non è evidentemente un pregiudizio ideologico filo-putiniano del nostro corrispondente da Mosca, Gian Luca Nicolini, operatore carpigiano di import export che anche nel servizio che pubblichiamo qui sotto richiama l'attenzione sul tema. Il quotidiano la Repubblica ospita oggi un servizio di Paolo Mastrolilli da New York in cui si sostiene che l'economia di Mosca zoppica, sì, ma si sostiene grazie ai diversi Paesi complici che l'aiutano ad aggirare le sanzioni: in qualità di fornitori, come la Cina e l'India, o come facilitatori dei transiti, come l'Armenia e la Turchia. Basteranno, si chiede l'autore del servizio, a sostenere la guerra in Ucraina o Putin sarà costretto a rivedere i propri piani per prevenire il rischio – prospettato dal suo ex collaboratore Abbas Galljamov su un network televisivo americano – di un colpo di stato? Stando ai fatti riportati nel servizio da New York e basato su indagini del New York Times e del Wall Street Journal, il Fondo monetario internazionale ha stimato una crescita dello 0,3 per cento dell'economia russa nel 2023, anziché la prevista contrazione del 2,3 per cento. Vero è che le stime sono state aggiornate per tutti i paesi, annunciandosi un anno di crescita più accentuata del previsto, ma non era affatto scontato che la crescita riguardasse anche la Russia in guerra. Quali sono le ragioni di questa tenuta? La più importante è che la Russia ha continuato a esportare gas e petrolio verso altri clienti, dopo il blocco di Europa e Usa. Può farlo grazie all'aumento delle importazioni di India e Cina e al moltiplicarsi dei vettori internazionali – indiani, greci, iraniani, coreani o sussidiari del Cremlino – che trasportano il greggio con navi, arrivando addirittura ai trasbordi in pieno oceano Atlantico e in acque internazionali. La vera incognita, per Putin, sta nel prezzo: con il tetto fissato a 60 dollari al barile, gli sconti che Mosca è costretta a praticare significano meno entrate. Ma ci sono da considerare anche i prodotti al consumo che arrivano in abbondanza da alcuni paesi: l'Armenia, rivela il servizio, ha aumentato di dieci volte le importazioni di smartphone che poi rivende alla Russia. A loro volta da Turchia, Repubblica popolare cinese, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan è tutto un movimento di autotreni che trasportano di tutto, dagli elettrodomestici ai pezzi di ricambio per le auto. Si potrà comprendere meglio, dunque, quello che ci ha scritto da Mosca il nostro corrispondente Gian Luca Nicolini in questi giorni e che qui riportiamo.

 


 

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